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A San Siro per ricordare Francesco Gallone

Il 30 gennaio 2018, esattamente un anno fa il mio telefono squillò. Era un amico che sentivo regolarmente ma che non mi aveva mai chiamato. Capii subito che non aveva niente di piacevole da dirmi e rispondendo confermò i miei pensieri: ” Franci non ce l’ha fatta”. Queste poche parole da giorni mi ripassano per la mente poichè si avvicinava l’anniversario della morte di Franci.

Francesco Gallone era un ragazzo che ho conosciuto durante il mio ricovero in unità spinale in seguito alla meningite. Io non avevo ancora il permesso di riprendere la fisioterapia e così passavo il tempo facendo il giro delle camere dai pazienti allettati.

Un giorno di gennaio stavo distribuendo frittelle di carnevale in reparto e mi fermò un signore seduto sulle poltrone in fondo ai corridoi. Era il caregiver di Francesco e mi chiese se mi andava di andare a presentarmi. Franci non era in ottima forma e in stanza notai che non c’erano letti di altri pazienti quindi mi misi subito a fargli un interrogatorio che ci fece scoprire di studiare nella stessa università e di avere entrambi un blog che si occupa di disabilità. Da quel giorno iniziai ad andare sempre a trovarlo prima di cena, ma se nel weekend c’era l’Inter sapevo che gli piaceva guardarla con la sua numerosa famiglia e io andavo quando non c’era alcun neroazzurro. Non avevamo fretta; eravamo gli unici due pazienti a non poter uscire nel fine settimana. I mesi passarono io venni dimessa, ma con i continui controlli, una volta a settimana riuscivo a fare un piccolo saluto, e ogni volta speravo di sentirmi dire “Pri, mi dimettono!” Così avremmo potuto iniziare a scrivere insieme come mi propose mesi precedenti . Quando finalmente uscì io ero già in vacanza ma poche settimane dopo organizzammo una cena per festeggiare il suo compleanno. Niente da fare, tornarono le febbri alte. Io partii nuovamente e il primo settembre trovai Franci ancora a Niguarda. Nei mesi successivi la sua salute peggiorò sempre di più.

La leucemia non gli fece vincere quella battaglia. Lo portò via dai familiari , dai tanti amici e da tutte le sue passioni. Ricordo che al funerale pensai: ” Non ho mai visto tanta gente in chiesa a Milano”. Si capiva che se n’era andata una persona più che speciale.

La stessa gente che riempì la Chiesa di Sant’Angelo oggi, a un anno dalla morte di Francesco si è ritrovata allo Stadio San Siro, casa dell’Inter e rifugio di Franci. Il Comune di Milano gli ha dedicato una targa per le battaglie a favore dei diritti di persone con disabilità. Voleva abbattere le barriere architettoniche che impedivano a lui e ad altre persone in sedia a rotelle di vedere le partite come qualsiasi tifoso.

Dentro quel corpo piccolo c’era un uomo con una tenacia inverosimile. E dopo richieste su richieste ad assessori, presidenti di associazioni e articoli di giornali, piuttosto pesanti, le squadre di Milan e Inter hanno finanziato l’alzamento della pedana per migliorare la visibilità in campo.

Alla cerimonia sono intervenuti: l’Assessore al Turismo, Sport e qualità di vita, Roberta Guaineri, Marco Rasconi, grande amico di Francesco il quale gli fece scoprire la squadra di hockey e Presidente Ledha , un consigliere della società MI Stadio che si occupa della gestione di San siro, e infine le parole più commoventi della cugina Anna. ” oggi non ci siamo ritrovati a ricordare qualcosa di passato ma qualcosa che continuerà ad essere presente anche nel futuro”.

Francesco ha così dimostrato che la perseveranza ripaga. Ha voce a chi non aveva la sua grinta e il Comune di Milano gliel’ha riconosciuto con i fatti.

A Milano i miei concittadini che creano le barriere

Cari Concittadini milanesi.

Io sto vedendo La città cambiare. Leggete questo post e ditemi: voi Milanesi volete dare il buon esempio e cambiare insieme a Milano?

5 anni fa dovetti trasferirmi per via di un incidente che mi ha paralizzato e mi costringe a vivere in sedia a rotelle. Oltre all’esigenza di una soluzione abitativa accessibile avevo quella di trovarne una non lontana da mezzi pubblici e servizi.

La mia soluzione mi ha portato in una zona strategica: esattamente sotto casa ho la fermata della metropolitana Piola e quella della Linea 39. Un vero lusso per chi vive in sedia a rotelle come me. Un lusso di cui non ho quasi mai usufruito se non per urgenze. Perché, per quanto riguarda la fermata della M2, dalla chiamata dell’agente per l’attivazione del montascale all’arrivo presso i binari per prendere il treno impiegavo dai 18 ai 22 minuti. Troppo il tempo per scoprire, a volte, che la fermata verso cui dovevo dirigermi aveva problemi, ed ero quindi costretta a cambiare piano.

Avrei potuto approfittare della 39 potendo arrivare così in Piazzale Loreto. Già! sarebbe stata una seconda scelta perfetta se non fosse che manca la segnaletica a terra e nessuno si ricorda che è vietata la sosta da 15 metri prima a 15 metri dopo il cartello di fermata del bus. Così l’intera area riservata viene occupata da auto che non permettono al mezzo pubblico di arrivare al marciapiede e aprire la rampa che dà la possibilità alle carrozzine di salire autonomamente.

Per 5 anni non ho mai detto nulla, rassegnata e con la scusa “ ci pensa mia mamma a portarmi in macchina così facciamo in fretta.”

Adesso però vedo la città cambiare. Cambia l’architettura, l’urbanistica, il modo di vivere. E il modo di pensare? Il mio è sicuramente cambiato. Voglio vivere in una città all’avanguardia ma soprattutto con cittadini all’avanguardia.

È questo il vero problema che qualche giorno fa mi ha lasciato senza parole.

Come dicevo, la metropolitana la utilizzavo solo in caso di grossa necessità. Ma dopo un anno di continui guasti al montascale della fermata Piola, a settembre ATM ha deciso di non farlo tornare in funzione dicendomi che sono in attesa di una gara d’appalto, e che solo dopo la conclusione di questa si deciderà il destino di quel montascale che rendeva la fermata accessibile ( tengo a sottolineare che essa porta al Politecnico di Milano e a due ospedali).

Ho così segnalato l’urgenza di mettere le strisce alla fermata della linea 39 che a me avrebbe sicuramente risolto il problema. A un mese dal mio appello, il 6 dicembre uscendo dal portone del mio condominio, ho trovato le strisce gialle luccicanti che ancora sprigionavano il profumo di vernice. Ho sorriso tutta mattina mentre pensavo che non avrei più rischiato di essere investita dovendo farmi posizionare in mezzo alla strada, per farmi vedere dai conducenti e chiedere la rampa a causa di tutte le auto parcheggiate sulla fermata.

La sera stessa mentre io e mia madre rientravamo, veniamo fermate da una nostra condome che con tono indignato esclama: “ Ma avete visto cosa hanno fatto? In tanti si sono lamentati! Queste strisce sono troppo lunghe!! Ho scritto immediatamente al Comune ma mi ha detto che sono le prime strisce segnaletiche europee in vigore a Milano.”

Ho prontamente risposto che ero stata io a farne richiesta perché non potevo accedere al bus. Ovviamente non ho sentito controbattere. Però è stato un dispiacere enorme sapere che più persone si sono lamentate perché preferirebbero continuare ad approfittare della mancanza di vigilanza per parcheggiare H24 sulle strisce senza la preoccupazione della rimozione, e che non abbiano lontanamente provato a chiedersi come mai dopo tanti anni siano comparse.

Ho quindi avuto la dimostrazione di quanto i miei concittadini predichino bene e razzolino male. Vogliamo essere europeisti ma la segnaletica non va bene, preferiamo non averla proprio. Parcheggiamo nel posto disabili mettendo le quattro frecce e se arriva chi veramente deve usufruire del parcheggio diciamo “Scusi, ha ragione! Un attimo”.

Per tutto questo sono convinta che sia ecessaria la sensibilizzazione e una corretta educazione a partire dalle nuove generazioni. Per essere sicuri che in futuro non debbano essere solo le persone con disabilità ad insegnare cosa è necessario fare per migliorare una qualità di vita che sia giusta per tutti. E Non solo per chi vive con handicap.

Priscilla Chairleader

Accessibilità: Venezia con le gondole – Milano…a casa

Venerdì 11 marzo l’associazione Gondolas4all ha raggiunto un grande obbiettivo che ha fatto acquisire 100 punti alla città di Venezia per quanto riguarda l’abbattimento di barriere architettoniche. È stata infatti installata in laguna una piattaforma mobile che permette a persone in sedia a rotelle di accedere alle gondole, simbolo universale della città più affascinante del mondo. La prima persona ad aver avuto l’onore di accedervi è un bambino di 8 anni, Nicolò, che ho avuto la fortuna di conoscere sulle piste da sci. Per l’occasione è intervenuta anche Striscia la Notizia riprendendo l’avvenimento. Sono riuscita a vedere l’intervento grazie ai video di Internet e……. Il sorriso di Nico spiegava tutto.

  
Ieri sera mentre Striscia la Notizia e altri telegiornali trasmettevano il servizio della pedana per gondole, io mi trovavo a cena con amiche a mangiare tigelle e gnocco fritto. Vi starete chiedendo che pertinenza abbia la mia serata con ciò che ho appena raccontato.

Beh, centra il fatto che ieri sera avrei voluto vivere a Venezia, prendere comodamente la mia gondola e tornare a casa senza farmi venire ulcere per il nervoso. Vivo a Milano e in assenza del mio autista di fiducia (mia mamma) prendo la metro se capita che devo spostarmi in quelle poche zone in cui so per certo che l’ATM riesce a far funzionare tutto. Ieri mi trovavo in zona Arena, la stazione più vicina era quella di Moscova ma sapevo che non era provvista di montascale. L’idea iniziale era quella di raggiungere Porta Garibaldi ma poi iniziò a piovere, così abbiamo optato per andare a Lanza, “È la stazione del Teatro Piccolo, avranno sicuramente il montascale”. No. Figurati se la stazione appena fuori da uno dei teatri meneghini più importanti è accessibile. Così sotto la pioggia io e le mie amiche cerchiamo di raggiungere la stazione di Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco. Vediamo finalmente il cartello con l’indicazione per il montascale, raggiungiamo l’uscita e….. È chiusa. Ma come? Non mi dire che Atm sia così furba da tener chiusa dopo un certo orario PROPRIO L’USCITA DOTATA DI MONTASCALE?! Invece sì. C’era un bel cartello che diceva “Chiuso. Utilizzare l’ingresso lato Piazza Castello”, ovviamente valido solo per persone che sono in grado di deambulare, mentre per chi come me è in carrozzina si attacca al tram. Ah no, solo se sono accessibili e non si bloccano quando attivano la pedana.

 
Stanche, bagnate, e io alquanto incazzata, siamo state obbligate  a raggiungere la stazione di Cadorna. Che grazie al cielo è provvista di ascensore fino ai binari. Così dopo mezz’ora siamo riuscite a raggiungere la metro. Ma non ho potuto fare a meno di pensare alla situazione mezzi pubblici a Milano per quanto riguarda persone con disabilità. Ero convinta sarebbe migliorata la situazione con l’arrivo di Expo, anche per l’abbattimento di barriere architettoniche , ma così non è stato. L’unico miglioramento è stato quello della linea M5, che però dal centro raggiunge solo zone periferiche. Ma almeno ogni stazione è provvista di ascensore. Però mi chiedo com’è possibile che Barcellona sia accessibile dal 1992, per via delle Olimpiadi, e Milano per Expo 2015 non è riuscita nemmeno a fare manutenzione sui tram che dovrebbero essere accessibili?

Prima o poi qualcuno prenderà sul serio il tema abbattimenti architettonici? O se proprio non si vuole prendere in considerazione, riuscirà l’azienda che si occupa dei trasporti a fare più attenzione?

Priscilla_Chairleader 

 

Rugby in Carrozzina Gran Prix – Tappa Milano

Weekend frenetico al campo sportivo G.B. Curioni, dove la AS Rugby Milano ha ospitato la manifestazione di Rugby in carrozzina, organizzata dalla Polisportiva Milanese e voluta dalla Fispes.
Si trattava della prima tappa del Gran Prix Rugby in carrozzina, in cui si sono sfidate 4 squadre miste, con atleti provenienti da Padova, Milano, Roma, e addirittura Barcellona.Questa manifestazione è stata voluta per promuovere lo sport di Rugby in carrozzina che in Italia non è ancora conosciuto in tutto il territorio, e dunque per cercare nuove reclute con la voglia di frequentare questo ambiente e far crescere la disciplina.

Se si osserva per la prima volta una partita di Rugby in carrozzina ci si spaventa. Gli atleti sfrecciano su carrozzine che ricordano dei piccoli carro armati, e durante la fase del “placcaggio”, si assiste ad un vero e proprio incidente, e si pensa che la persona sulla sedia a rotelle possa schizzare fuori dalla palestra per il forte scontro. È sì uno sport dinamico, ma dietro ci sono regole severe. Ad esempio, si può giocare solo se la disabilità colpisce almeno tre arti. Per questo la maggior parte degli atleti sono ragazzi tetraplegici, o poliomieliti; inoltre ad ogni giocatore corrisponde un punteggio, da 0.5 a 3.5 in base alle sue capacità fisiche, e la squadra per giocare deve totalizzare un punteggio di 8.0. La palla con la quale si gioca non è ovale ma rotonda per agevolare la presa e una squadra è composta da quattro giocatori. 

Il Gran Prix Rugby in carrozzina si svolgerà un fine settimana al mese, e toccherà diverse città. 

La prossima tappa è quella di Sacile, in provincia di Pordenone, che ospiterà la manifestazione il prossimo 28-29 Novembre.

Se si pensa al rugby immaginiamo ragazzi-armadi che corrono per il campo, scontrandosi e alzando zolle di terreno. Ma, a parer mio, il Rugby in carrozzina è ancora più tosto, perché ci vogliono veramente le palle a non aver il controllo della maggior parte del corpo e fiondarsi a tutta velocità per fermare l’avversario, rischiando di cadere.

Però anche questo è il bello dello sport, e inoltre aiuta da sempre l’integrazione di un individuo e stimola la voglia di raggiungere un obbiettivo con tutte le forze che si hanno in corpo.
 

Consiglio dunque, a chi ha i requisiti per fare questo sport, di prenderlo seriamente in considerazione!  

Si attendono nuovi atleti
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Priscilla_Chairleader