La mia prima volta a letto 

Se pensavate che volessi improvvisarmi Sex- Blogger non ci siete!Vi racconto sì della mia prima volta a letto, ma della prima volta che vado a letto sola senza alcun aiuto. 

Per essere più precisa devo spiegarvi che da più di 4 anni per andare a letto ho bisogno di una persona che mi dia una mano. Mi mancano i tricipiti per riuscire a sollevare il sedere e un buon equilibrio del tronco per fare un passaggio dalla carrozzina al letto come si deve e in sicurezza. Con la mia fisioterapista è anni che studiamo le tecniche per riuscire a farcela ma mi è sempre stata vicina a controllare che la carrozzina non si spostasse facendomi cadere sul pavimento. Lo stesso compito lo ripete mia madre la sera.

Ieri pomeriggio ero sola in casa. Il caffè non stava facendo effetto. Stavo per addormentarmi sul tablet mentre cercavo di studiare. Ho iniziato a sbuffare. Un tempo mi sarei alzata, avrei fumato una sigaretta e mi sarei sdraiata una mezz’oretta sul letto giusto per riprendermi. Poi mi sarei alzata e dopo un altro caffè avrei ripreso a studiare.

Adesso é tutto più complicato. A letto non riesco ad andare e mia madre si dimentica sempre di lasciare le tazzine del caffè in una posizione dove riesco a prenderle senza fatica  per farmi il Nespresso.

Dai. c’è di buono che non fumo più.

Così dopo aver guardato il divano di fianco a me mi sono spostata nella mia camera da letto. Ho abbassato il letto con il telecomando e ho riflettuto un attimo:

“Dunque. Le finestre sono aperte. E sento che al piano terra c’è Anu, il portinaio, così se mi dovesse succedere qualcosa riesce a sentirmi urlare “. Voglio provarci veramente? Sì, sono troppo stanca. Ho bisogno di sdraiarmi, anche per terra. Il letto l’ho abbassato tutto. Secondo la tecnica studiata devo posizionarmi a fianco, mettere prima il freno destro (se ho bisogno di ruotare la carrozzina a destra) e poi il freno sinistro. Ora la mia sedia è bloccata. Con le braccia dietro la schiena faccio scivolare il sedere sul cuscino in avanti come se volessi sdraiarmi. I piedi sono fermi sulla pedana e mi auguro rimangano lì.

Adesso c’è la parte più complessa da svolgere senza nessuno che mi tenga d’occhio. Metto dritto il busto e poggio le mani sui corrimano delle ruote. Faccio forza, ruoto le spalle a sinistra e mentre mi sollevo il più possibile cerco di spostare il sedere a destra. Una persona paraplegica a quest’ora si sarebbe già sdraiata. Io ho solamente spostato il fondoschiena di quasi 10 cm. Adesso ripeto il tutto poggiando la mano destra sul materasso. Ormai una chiappa è quasi sul letto. Tento di sollevarmi ancora. Avvicino la mano sinistra e faccio scivolare i fianchi il più indietro possibile.

Perfetto il sedere è nel letto. Mancano le gambe. 

Guardo la stanza e mi sembra impossibile. Sono a metà percorso. Sollevo la gamba destra. Perché sono cresciuta fino 1 metro e 75cm? È incredibile quanto possa pesare una gamba. Dai tiriamo su anche la sinistra che sono già stanca.

No. Devo capire bene come potermi spostare al centro del letto. Ma non ho spazio sufficiente per appoggiare la mano sinistra al fianco e fare un piccolo spostamento. Sarebbe stato l’unico modo per poter sistemare l’altra gamba ed essere comoda.

Però di spazio non ne ho e penso mi sia andata benissimo per essere la prima volta che vado a letto sola.

Così prendo l’ultima gamba, la sollevo un po’ e mi rotolo sul fianco. Perfetto! 

Adesso non mi tiro su. Sono tutta storta e rischio di finire sotto il letto se dovessi provarci.

Ci vorrà più di un’ora prima che arrivi mia madre. L’importante è essere sdraiata,

L’importante è non essere caduta,

L’importante è avercela fatta,

L’importante è avercela fatta DA SOLA .

Sono così contenta che non ho più bisogno di dormire. Vorrei chiamare qualcuno per raccontargli tutto ma ho lasciato il telefono in sala.

Se ce l’ho fatta una volta potrò farlo una seconda, e finalmente potrò aggiungere una cosa in

 più alla lista di ciò che so fare da sola:

  • Lavare viso e denti
  • Spruzzare il profumo
  • Togliere il giubbotto 
  • Aprire una sottiletta Kraft

Cavolo che lista. Che impegni. Non è incoraggiante leggere la lista. Ho 23 anni e so fare solo queste cose senza alcun aiuto. Sarebbe veramente importante poter andare a letto autonomamente.

Non posso far altro che cercare di mantenere  questa adrenalina da “ prima volta“. Perché quando l’adrenalina passa e la seconda volta va male si perde la voglia di continuare, di ritentare. Cominci ad essere certo che non ne valga la pena. Troppa fatica, troppi impegni per risultati così piccoli.

O dio, mia mamma tornerà a casa e troverà la carrozzina vuota. Le prenderà un colpo e inizierà a preoccuparsi. No, non posso proprio addormentarmi. Quando torna dovrò avvisarla di stare tranquilla.

Eppure riuscire ad andare a letto è qualcosa di straordinario per me. Un vero sogno.  Da aggiungere ai miei prossimi progetti. 

Perfetto. Mia madre è tornata ed è contenta. Mi fa una foto per farmi vedere quanto sono storta. Mi abbraccia e mi raddrizza.

Bene. Adesso posso dormire.

Riposare e sognare. 

Sognare l’autonomia.

La Ragazza della meningite 

Meningite. Quanta paura ha creato questa parola nei mesi scorsi. Ogni giorno i media davano notizie di nuove persone infette dai diversi ceppi di questa malattia  che può diventare fatale. Si è addirittura giunti a parlare di una grave epidemia. La realtà è un’altra. I dati scientifici  ci rassicurano, infatti la diffusione di questa malattia invasiva è sovrapponibile a quella dell’anno precedente (http://www.epicentro.iss.it/problemi/meningiti/EpidItalia.asp). Ho iniziato ad informarmi di questa malattia nel periodo di natale, dopo esser sopravvisuta ad una meningite batterica da pneumococco.

Di non essere una ragazza molto fortunata L’ho sempre saputo ma dopo esser finita sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale ero convinta che il mio corpo non avrebbe più subito disavventure. Invece, Mai dire Mai.

Così, il 25 novembre 2016 dopo molti giorni di spossatezza e dolore alla testa mi svegliai con il collo completamente bloccato. Non ero in grado di voltare lo sguardo a destra o sinistra e sentivo il cranio sempre più compresso. Mia madre dovette chiedere a mio fratello di aiutarla a vestirmi perchè io ero completamente bloccata e non riuscivo a sollevare le braccia per mettere la maglietta. Andammo in pronto soccorso all’ospedale di Niguarda. Spiegai quali fossero i miei sintomi, ma mi segnalarono come codice verde, dunque avrei dovuto aspettare molte ore prima di esser visitata. Per fortuna mentre prendevano i miei dati iniziai a vomitare, così mi fecero entrare immediatamente. Non riuscivo a sdraiarmi nel letto nemmeno con lo schienale alzato. Arrivò il momento della tac cervicale e all’encefalo ma non riuscii  a sdraiarmi e dovettero farmi 2 punture di morfina per farmi rilassare e potermi rendere meno rigida. 

Da quel momento non ricordo più nulla. Tutto ciò che so me lo raccontò mia madre una volta terminati i giorni di terrore. 

La tac risultò negativa ma gli esami del sangue evidenziaronouna presenza di globuli bianchi altissima rispetto alla media e gli esami delle urine terribili. Diagnosticarono un’infezione alle vie urinarie e mi spostarono nel reparto  di Medicina d’Urgenza per poter iniziare un’antibiotico per via endovenosa che sarebbe dovuto durare per due giorni.

Sarebbe, perché quella stessa sera dopo che diedero il permesso a mia madre di andare a casa e di tornare la mattina seguente la richiamarono dopo una quarantina di minuti dicendole che il mio assopimento non poteva esser correlato alla morfina e avevo bisogno di una rachicentesi poiché sospettavano un’infezione cerebrale. Quando mia madre tornò non la riconobbi. Iniziò per lei una notte terribile. Non tanto per me perché non ricordo nulla. Iniziai ad avere forti convulsioni, sbattevo le braccia a destra e sinistra, facevo scattare velocemente la testa da una parte e dall’altra, facendo versi strani con la bocca. Non rispondevo più a nessuna domanda.e alle 2 del mattino la febbre aumentò fino a 41º. Arrivò il referto della rachicentesi che confermò la meningite.  il mattino arrivò e la mia saturazione scese al 74%, così mi inserirono le sondine per l’ossigeno.

Più passavano le ore e più la mia situazione peggiorava fino a constatare una polmonite. Mi riempii di catarro e nel pomeriggio decisero di intubarmi e di trasferirmi alla Multimedica di sesto San Giovanni poiché la rianimazione di Niguarda non aveva posti liberi. Mentre mi spostarono per l’intubazione il medico disse a mia madre ciò che un genitore non vorrebbe mai sentirsi dire: “Signora potrebbero rimanere solo due ore a sua figlia. In quelle due ore mi trasferirono in Multimedica e una volta arrivata andai in coma. Sembrava che non ci fosse nulla da fare e il coma durò 10 giorni. Mi svegliai il 7 dicembre ma dovetti comunque rimanere sedata e contemporaneamente continuare gli antibiotici per eliminare del tutto l’infezione cerebrale. Quando mi svegliai il medico mi fece delle semplici domande. Se avevo dolore, se sentivo le gambe,poi mi chiese se la lettera C fosse la prima, la seconda o la terza dell’alfabeto. Risposi: “Cos’è l’alfabeto?”.

I rischi dovuti ad una meningite sono molti, tra cui sordità e perdita di memoria. Ciò di cui era più preoccupato il medico era che potessi non ricordare di essere in carrozzina a causa di un incidente. Per questa situazione non servirono domande perché fui io un giorno a chiedere di poter esser messa in carrozzina per poter “andare in sala a guardare XFactor”, d’altronde ero talmente sedata che non riuscivo a capire nè di essere in ospedale nè di essere intubata. ma adesso non è il caso di raccontare tutto ciò che  ricordo di poco sensato del coma e di quando mi svegliai. Preferisco raccontare il periodo di recupero.

Il  medico in Multimedica vedendo la mia fatica nel respirare autonomamente era in dubbio se procedere con una tracheotomia o meno. Sapeva che a Niguarda avrei avuto più possibilità di evitarla.

Così il 13 dicembre mi spostarono nuovamente a Niguarda nel reparto di Neurorianimazione. Mi estubarono, feci due sacchi di trasfusione e saltai il rischio della seconda tracheotomia in 4 anni. Due giorni dopo tornai nel reparto di Unità spinale dopo 3 anni dalla mia dimissione.

Potevo stare tranquilla, ero nella mia seconda casa. Conoscevo tutti e potevo fidarmi di ogni figura che lavorava all’interno del reparto. Iniziai ad essere più cosciente e mia madre mi raccontò tutto ciò che era successo nelle settimane precedenti. Ero tranquilla ma mi misi a piangere, Non potevo credere di aver rischiato così tanto un’altra volta. Quando entrai in coma mia madre era convinta che non mi avrebbe più riportato a casa. Novembre era il periodo in cui la radio trasmetteva continuamente la canzone “Assenzio” di J-Ax e Fedez che ad un certo punto dice:

 “E allora ho chiesto scusa al cielo per la mia vita intera Mentre l’infermiera le infilava i tubi nelle braccia. Ho pregato Dio: Prenditi i soldi, la mia moto e la carriera Ma non portarti via la mia ragazza.

Ero riuscita in un attimo a spaventarla come non mai, mi sono ripresa e grazie allo stordimento dovuto ai forti farmaci sono tornata a farla ridere come non fosse successo nulla.

Prima di Natale mi fecero scendere dal letto ma non mi misero sulla mia carrozzina, bensì su una bascula. Una carrozzina con uno schienale più inclinato. avendo passato quasi un mese a letto dovetti riabituarmi a tutto. Mi accorsi di essere debolissima:avevo perso  quel poco di muscolatura che mi ero creata con tanto impegno e fatica negli ultimi 3 anni, le braccia erano tornate esili e ricominciai la mobilizzazione a letto durante il mattino. Ciò che mi preoccupò di più fu che non controllavo correttamente la mano sinistra. Non riuscivo nè ad utilizzare il telefono nè a tenere la forchetta per poter mangiare e queste furono le prime cose che imparai a fare dopo l’incidente.

  Così mi ritrovai nel passato ma con esperienze difficili già vissute.

 E incontrando persone che stavano vivendo per la prima volta tutto questo ho capito che non potevo lasciarmi abbattere, nonostante avessi tutte  le ragioni per essere incazzata con il mondo, poiché sapevo che potevo star meglio e tornare ad una vita quasi perfetta, come quella di tutti, perché nessuno, pur essendo in salute, vede la sua vita perfetta.

Natale e Capodanno li passai lì, nel resort di Niguarda, con i parenti e gli amici di sempre. I medici pensavano di dimettermi il 9 gennaio ma si accorsero che era ancora troppo presto. Dovevo recuperare la forza e fare molti esami per essere certi che non ci fossero altri focolai dovuti alla meningite (https://www.pazienti.it/malattie/gliosi).

Durante due di questi esami (una tac e un elelettroencefalogramma) entrambe le figure lavorative dopo aver letto il mio nome sulla cartella mi dissero: “ah tu sei la Ragazza della meningite?!” Una era la Neurologa che decise di fare la rachicentesi, l’altro signore era uno degli infermieri che mi fece la prima tac dopo aver raggiunto il pronto soccorso. Trovai la situazione abbastanza buffa! C’è la ragazza con l’orecchino di perla, la ragazza di fuoco, e poi la Ragazza della meningite. Purtroppo ci sono state altre “ragazze della meningite” che non ce l’hanno fatta. Così io mi trovo a riflettere e a cercare di capire se sono una ragazza sfigata come penso, o se in realtà sono fortunata perchè mi sono ripresa anche questa volta.

La Ragazza della meningite durante il ricovero ha scoperto di aver avuto anche un cedimento di alcune vertebre cervicali che le causano un dolore molto forte e le è stato così vietato di continuare con lo sport di cui si era innamorata, rugby in carrozzina. Inoltre ha dovuto saltare la sessione invernale degli esami invernali. Ammette di essersi un po’ scoraggiata perché prima della meningite era in forma e con molte attività da seguire. Dopo un ricovero inaspettato durato 4 mesi si sente sicuramente più debole e chiusa in una campana di vetro non potendo fare ciò che prima impegnava le sue giornate.

Adesso la Ragazza della meningite è tornata a casa ma promette che cercherà nuove emozioni per tornare alla sua vita quasi perfetta che nonostante tutto era perfetta così.
Priscilla_Chairleader

ALL’ARREMBAGGIO: per chi non ha la forza di reagire.

Vi chiedo di spendere 2′ del vostro tempo per leggere una piccola riflessione che mi sono trovata a fare nei giorni scorsi. Per me è importante e potrebbe esserlo anche per voi.

Sono passati più di tre anni da quando la mia vita ha subito un cambiamento drastico. Chi mi conosce o chi mi segue sui social è convinto che abbia dentro di me una forza incredibile difficile da trovare in una ventenne, e crede che sia riuscita ad accettare nel miglior modo possibile questa difficile situazione. In realtà di fronte a me ho solo due possibilità: scegliere di reagire, o buttarmi in giù. Ovviamente in senso metaforico perché nelle mie condizioni sarebbe difficile!

Analizziamo la situazione. Se la mia mente non reagisse passerei il tempo a guardare serie TV su Netflix, chiamando continuamente mia madre per farmi passare acqua, merendine, telefono, telecomando e ci sarebbe un bel buco al centro del letto. Insomma, sarei l’avatar di Snorlax con sembianze umane, e a fine giornata non avrei dato nè ricevuto nulla.

Trovo che arrendersi sia troppo facile, e la resa non ha mai fatto parte del mio codice genetico, ma sono convinta che non appartenga a nessuno di noi poiché la sopravvivenza è un istinto naturale. Così la mattina appena sveglia mi stropiccio gli occhi, sbuffo un po’ e poi inizio la mia giornata. Di mese in mese le mie priorità cambiano, e devo ancora capire se perché sono indecisa o perché voglio fare troppe cose. Ad esempio, in questo momento la mia priorità è spaccarmi di fisioterapia per muovere il pollice sinistro. UN SOLO POLLICE. Per fare ciò ho dovuto mettere da parte gli studi per sottopormi ad un intervento che fortunatamente è riuscito! 

Adesso questa è diventata la normalità per me. Ma la scorsa settimana, parlando con un ragazzo, mi sono resa conto che per il resto delle persone sarebbe una cosa impensabile. Giustamente. D’altronde nemmeno io avrei pensato ad una cosa del genere anni fa. <<Tu mi stai dicendo che sarai la ragazza più felice del mondo quando riuscirai a fare l’intervento per muovere il tricipite. Incredibile.>>, queste sono state le sue parole. Inizialmente non ho dato peso a quanto ha detto, perché per me questa è la quotidianità.

Ma purtroppo nei giorni scorsi la vita di alcune persone a cui tengo è stata travolta da eventi spiacevoli che hanno disturbato anche la mia quiete. E più che mai ho pensato che a quest’ora anche i miei cari avrebbero potuto piangere una figlia e un’amica. È questo il motivo della mia grinta: la paura di poter perdere tutto quello che mi circonda. Dal sorriso di mia madre, agli abbracci dei miei amici e persino l’odore di lumachina di Albarella del mio fratello peloso Roberto. Anche io vivo momenti di sconforto, la maggior parte di questi partono da vecchi ricordi. Poi prendo in mano il telefono e mi rendo conto che posso ancora comporre il numero dei miei amici che puntualmente risponderanno <<Che c’è sfigata?>> oppure <<Ciao Protetta!>> , e potrò continuare ad accumulare nuovi ricordi.

Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché se da una parte ci sono tante persone che come me cercano di vivere al meglio nonostante alcuni piccoli limiti, ci sono troppe persone che sprecano il loro tempo, consumano ossigeno senza regalare emozioni. C’è chi lo fa lamentandosi, chi divertendosi nel modo sbagliato, chi pensando solo a sè stesso. 

Principalmente mi riferisco alla prima categoria: i petulanti, quelli che sono stanchi della vita. Ci sono padri di famiglia o ragazzi giovani e pieni di vita a cui è stato strappato tutto in un battito di ciglia. Non sono andati a cercarsela, è successo e basta, senza alcuna possibilità di scelta. E questo mi fa tanta rabbia, perché qui ci sono persone che hanno dimenticato cosa significa vivere, e vorrei che mettessero da parte per una sola giornata i pensieri negativi per concentrare le loro forze in un piccolo obbiettivo che possa farli stare meglio. 

Secondo me in questo modo, le persone che ogni giorno ci lasciano senza preavviso continueranno a vivere. E non ci sarà più motivo per i familiari o per gli amici di essere arrabbiati e di ripetere <<Perché proprio lui che aveva ancora tanto da offrire>> . Quanti di noi hanno ripetuto una frase simile perdendo qualcuno di importante? Conosco molte persone che si danno per vinti, ma non è possibile prendere uno per uno tutti quanti e trovare un modo per incoraggiarli e far capire loro che devono dare il massimo per sè stessi e per le persone che non ci sono più. Non ho idea di come si possa fare, però mi basta che tra voi lettori ci sia qualcuno che capisca ciò che intendo, e che se dovesse conoscere qualcuno che non riesce a reagire gli faccia un discorso simile al mio. 

Basta veramente poco per poter uscire dal limbo della depressione. Basta una sola persona che ci sorrida. E ripetersi che niente è perduto, perché qualsiasi cosa è raggiungibile nonostante possano esserci tempi di attesa lunghi e nuovi ostacoli. Il mio ultimo tatuaggio recita “Esistono vite che capitano e vite da capitano“. Non c’è niente di più vero. Io ho deciso di prendere in mano il timone, nonostante le mie mani da tetraplegica mi impediscano una buona presa, e di superare qualsiasi tempesta. Non sono sola, ho una ciurma ricca di buoni amici e una mamma fantastica. Così quando rischierò di andare alla deriva avrò qualcuno che proverà a salvarmi. Nel frattempo spero di incontrare sempre più navi con persone decise a non fermarsi al primo porto. E spero continueranno a fare lo stesso anche quegli amici e parenti che hanno perso una persona che avrebbe regalato loro ancora tante emozioni ma che il destino ha voluto fermare. Dunque non fermatevi voi. In una sola parola : ALL’ARREMBAGGIO!

Dedicato a Massimo e Chiara ❤️
Priscilla_Chairleader

My Ghost..

Quando la notte scorre lentamente e non ho più la possibilità di prendere altre pillole per cercare di addormentarmi, diventa inevitabile guardarmi indietro. Guardarmi dentro. 

A volte mi sento troppo vecchia per la mia età. Altre volte, più che sentirmi troppo giovane, mi sento in stan-bye, come se non riuscissi ad andare più in là di dove sono. Vedo tutti andare avanti e io rimango indietro, ferma a guardare da dietro un finestrino di vetro, neanche troppo spesso. Forse mi manca qualcosa? Sto aspettando qualcuno? Sicuramente quel qualcuno sei tu.

È da tempo che non riesco a trovarti. Posso solo ricordarti e sperare che la nostalgia non prenda il sopravvento, altrimenti la mattina specchiandomi vedrò gli occhi di un pugile messo troppe volte al tappeto. Sei sparita da qualche anno ormai, e da poco sto cercando di aggiustarmi. Avrei bisogno di qualche tuo consiglio. Venivano sempre da te a confidarsi, a cercare conforto, e non importa se non avevi consigli da dare. L’importante era ascoltare. E come tutti i buoni consiglieri che si rispettano, se un problema riguardava te non sapevi come muoverti.

Adesso avrei bisogno di uno di quegli abbracci che davi a chi se lo meritava. Amavi abbracciare ed essere stretta. Era un bisogno che avevi, si notava. Qualcuno avrebbe potuto scambiarti per una persona appiccicosa, o una gatta morta, invece era uno dei tuoi tanti modi per sentirti vicina ai tuoi amici più intimi. Anche un semplice braccio intorno ai fianchi ti faceva stare tranquilla.

Non sono rimasti i tuoi capelli mossi, sempre in disordine, con il “tirabaci” davanti agli occhi che ogni due secondi dovevi scostare con la mano. Questa è un’altra tua abitudine che mi manca, una delle tante. Infatti quando ti penso, ti vedo mentre ripeti i soliti gesti, anche quelli più strani o imbarazzanti… Come inzuppare biscotti integrali in un bicchiere d’acqua durante gli improvvisi attacchi di fame. Quale persona sana di mente farebbe una cosa simile?! E poi ti rivedo alla guida di quella scatola grigia e rosa, con giù la capote, mentre canti a squarciagola gola le canzoni live di Vasco, sentendoti una It Girl. Eri convinta di andare a 100 km/h, ma raggiungevi a malapena i 70. 

Siamo così diverse. Fin dalla terza media sei sempre stata molto indipendente, hai sempre fatto quello che volevi e senza combinare guai. Se tu hai sempre avuto libertà, io ne ho meno di una bambina di 11 anni. Se tu attaccavi bottone con tutti, io non ho nulla da dire a nessuno. Se tu non vedevi l’ora di scendere in pista, e ballavi come se ci fosse spazio solo per te, io mi rifiuto di andare in posti dove c’è troppa gente, figuriamoci andare a ballare. E poi, diamine, io sono la goffaggine in persona, non riesco nemmeno a stare appoggiata ad un tavolo senza perdere l’equilibrio. Tu seppure fossi una ragazza semplice eri aggraziata nei movimenti. Camminavi dritta come se avessi inghiottito un palo anche in montagna, durante le tue passeggiate mattutine. Dovresti invece vedere come sono posizionata su questa carrozzina, ti incazzeresti da morire!! 

Sai, ho anche cambiato casa, ma spesso mi capita di passare per quella traversa di Corso Buenos Aires da cui si vede la tua vecchia abitazione. Ogni volta che la guardo mi sembra di vederti mentre fissi il Pirellone fuori dalla finestra di camera tua. Da lì i tramonti erano incredibili; ma durante la notte quante imprecazioni a causa di quel maledetto grattacielo che aveva le luci di segnalazione troppo forti, e non bastava chiudere le persiane per far sì che la stanza non si illuminasse tutta.

Si dice che nel momento stesso in cui passiamo a miglior vita, il nostro corpo si alleggerisca di 21 grammi. Tre anni fa tu non ce l’hai fatta ad uscire dalle lamiere di quell’auto incidentata sul Sempione. Sono rimasta solo io, senza quei 21 grammi che mi distinguevano. Sarà possibile riprenderli e riaverti con me?

Ultimamente ascolto spesso una canzone la cui traduzione dice “Sto cercando qualcosa che non riesco a trovare”, e ancora “Mio fantasma dove sei andato?… Cos’è successo all’anima che eri prima?”. 

Forse ti sei solo nascosta per bene e mi ci vorrà ancora qualche anno per riuscire ad assomigliarti almeno un po’. Io nel frattempo cerco di andare avanti e provo ad immaginarti vicino a me mentre spingi la mia carrozzina e mi dici che andrà tutto bene. 

Sei parte di me.
Priscilla_Chairleader