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Prendere il treno da sola: FATTO

Scrivo mentre sono sul treno di ritorno che da Torino mi riporta a casa. Sarà l’ammirare i campi di riso al tramonto tra Vercelli e Novara che mi da ispirazione, o l’aver provato quella sensazione che solo le PRIME VOLTE ti sanno dare. Niente di trasgressivo, o di romantico. Ho semplicemente viaggiato in treno senza l’accompagnamento di alcuna persona.

Per 2 anni ho cercato di organizzarmi per andare a Verona, ma avveniva sempre qualcosa che mi impediva di partire. E in realtà persino l’organizzazione verso la Città Magica è saltata ben 2 volte. La prima volta scoppiò la pandemia COVID,la seconda, le previsioni meteorologiche davano pioggia. Non poteva vincere la magia nera della città contro la mia testardaggine.

Così, una settimana prima della mia gita fuori porta chiamai il numero della SalaBlu per l’assistenza di Trenitalia e comprai i biglietti. A causa della non accessibilità di tutte le stazioni e di ogni treno, è obbligatorio prenotare il viaggio con largo anticipo. Una volta aver ricevuto l’email di conferma avvisai la mia amica di Torino dicendole di pensare lei a che tour farmi fare. Avendo un solo giorno non era necessario stancarsi troppo. Volevo solo godermi l’aria di libertà che vive la maggior parte delle persone senza disabilità. E così è stato.

A molti di voi risulterà strano, ma vedere le porte del treno chiudersi mentre il signore dell’assistenza mi accompagnava alla mia postazione è stato emozionante! Godo di poche cose e sensazioni. La mia routine non cambia da anni. Per questo ho sentito qualcosa di forte al vedere il treno allontanarsi dalla stazione. Il viaggio di andata è durato solamente 1 ora. La carrozza era a mia completa disposizione tant’è che mi hanno dato l’opportunità di non utilizzare la mascherina. All’arrivo sono stata accolta dalla mia amica Maria pronta a documentare tutto con il suo telefono, e da un fresco venticello che mi faceva appena venire la pelle d’oca; il che l’ho preferito, non sono sicura sarei riuscita a sopravvivere al caldo che si vive in città. Ho vissuto la giornata in completa armonia e senza pensieri, a parte quando sono passata per Parco del Valentino, dove ho ricordato quelle volte in cui andavo a ballare allo Chalet, una discoteca che si trovava all’interno del parco, e luogo in cui ho passato il mio ultimo Halloween prima dell’incidente. Non è stato però un pensiero negativo, non ho provato tristezza.

Così le ore sono trascorse velocemente, tra chiacchiere e selfie. Quando si è fatta l’ora di tornare in stazione avrei voluto fermarmi ancora un po’, ma non era possibile. Come Cenerentola avevo un orario da rispettare per tornare alla realtà. dove ho poca autonomia. Dunque sono andata in bagno, in quanto una volta salita sul treno non avrei più potuto fare nulla essendo sola. In seguito ho raggiunto la Sala Blu della stazione dove mi hanno accompagnato per l’ultima volta al binario del treno destinazione Milano Centrale. Viaggiare su un regionale veloce è più impegnativo. Lo spazio per la sedia a rotelle in realtà non c’è, devo stare incastrata tra 2 sedili, uno dietro e uno davanti. Avendo una signora a 1 solo metro di distanza sono obbliga a tenere la mascherina che purtroppo non mi da la possibilità di respirare bene. Per questo inizio a sentire la stanchezza. Ma allo stesso tempo sto rientrando a casa con la consapevolezza che è andato tutto bene e che sicuramente tornerò a prendere il treno sola, e a scrivere per una prossima avventura.

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Disabili cantano chiedendo di stare a casa per combattere il Covid-19

L’associazione Crossabili capitanata da Mattia Cattapan ha creato un video dove ragazzi disabili chiedono, cantando e ballando, di stare a casa e di non rompere più.

Video di Crossabili by Mattia Cattapan

Sì, questa storia delle persone che si lamentano dell’impossibilità di uscire di casa mi ha fatto alzare le sopracciglia dal mio primo giorno di quarantena. E guardare questo video mi ha fatto venire voglia di dire, o meglio scrivere, qualche parola, visto che io ho passato 11 mesi di ricovero e sono uscita dall’ospedale per poche ore solo 4 volte in quell’arco di tempo. Inoltre mi viene da pensare:

Se siete così nervosi e annoiati per 3 settimane di quarantena, cosa pensereste se foste tra i 4.360.000 di persone con mobilità ridotta che in Italia limita le proprie uscite per le barriere architettoniche?

Sono sicurissima che nessuno più si lamenterebbe, proprio come faccio io. Sono vicina, e penso, a tutte quelle persone che hanno perdite nei loro guadagni e problemi con il loro lavoro, ma tutti gli altri motivi di lamentele senza senza senso proprio non li capisco. Volete uscire? Bene, andate a fare del volontariato portando la spesa agli anziani che non hanno parenti o, seguite tutte le altre attività. Potreste scoprire che fare del bene al posto di usare il telefono H24 vi piace. E una volta passata questa difficile pagina della storia che riguarda il mondo intero potreste continuare ad occuparvi degli altri nel tempo libero. Non è poi così male. Da molte soddisfazioni. E se proprio l’idea non vi piace, restate a casa ugualmente. Per voi e per i tuoi cari.

Corsi di vela insieme a Sailability: per un Lago accessibile

Per persone con disabilità, anche organizzare una sola giornata fuori porta è più complicato. Sempre a causa dell’accessibilità da ricercare.

Così, per scappare dal caldo torrido di città, Domenica 4 agosto, sono andata sul sicuro. ho partecipato all’open Day di Vela accessibile, organizzato da Sailability Onlus , a Desenzano del Garda. L’associazione è nata nel 2005, ma dal 2016 è ospite, proprio a Desenzano, della Lega Navale Italiana, che offre loro spazio per le barche e volontari con le migliori certificazioni per navigare in sicurezza.

Sailability propone corsi in barca a vela per persone con disabilità motoria e una persona di loro fiducia, al prezzo di uno. Il corso è diviso in 4 mezze giornate dove si imparerà la teoria e la tecnica per poter prendere il brevetto.

Questa giornata è iniziata con un po’ di aria fresca che sembrava muovere fin troppo le acque. Erano passate da poco le 9 e fortunatamente ero la prima in lista per navigare.

Il lido è attrezzato di un sollevatore per far accedere le persone in sedia a rotelle sulle barche. Ovviamente non c’è posto per la carrozzina, così vengono aggiunti dei cuscini per evitare problemi nella seduta.

E per chi non ha un ottimo controllo del tronco e rischia di perdere l’equilibrio, viene legato con una cintura. Il trimarano a cui ho avuto accesso lo guidavano Gianni ed Elena, marito e moglie, soci della lega, prima ancora dell’incidente che causò una lesione midollare a lui.

Se non mi avessero raccontato quello che gli era successo, avrei continuato a navigare pensando di essere in barca con una persona senza alcun handicap. Infatti, mentre timonavo, capitava di sentire la corrente talmente forte che mi faceva perdere il timone di mano, ma Gianni riusciva a saltare prendendolo, con una agilità impressionante. Come se avesse avuto ancora le gambe funzionanti. Durante l’ora di navigazione non c’è stato troppo tempo per le chiacchiere. Hanno cercato di istruirmi al meglio, ma essendo la prima volta ero troppo concentrata a non perdere il timone per mantenere la poppa verso i punti fermi che loro mi indicavano. Innanzitutto il Castello di Sirmione, e con la strambata (ovvero la manovra per passare da un lato all’altro) si osservava il castello di Desenzano. Dopo un’ora era il momento di tornare al molo. Il forte vento se n’era andato lasciando spazio al sole che iniziò ad asciugarmi dagli schizzi d’acqua che le onde mi avevano regalato.

Altri ragazzi con disabilità erano saliti nelle barche, infatti Sailability ne possiede ben 7. Grazie agli sponsor sono riusciti ad acquistare un joystick che permette a chi ha una forza ridotta alle mani di poter guidare la vela completamente in autonomia, poiché il joystick permette di controllare sia il timone che la randa e il fiocco.

Domenica non è stato possibile utilizzarlo poiché aveva bisogno di manodopera. Ma io sono rimasta doppiamente soddisfatta nel provare a toccare con mano il timone e sentire la fatica che mettevo per combattere contro le correnti.

Essendo un open- Day, il pranzo è stato offerto dagli sponsor, che nonostante i 33°C hanno cucinato hamburger e patatine per tutti. Dopodiché, chi aveva già navigato poteva godersi il sole e se avesse avuto voglia, erano disponibili 4 Job (sedie a rotelle) per entrare in acqua.

Una giornata in compagnia di Sailability Onlus lo consiglio vivamente a tutti. Non si sono fatti sfuggire nulla Nel organizzare questo lido. Oltre al sollevatore per entrare nelle barche, le Job, per fare un tuffo, ho trovato per la prima volta un bagno accessibile al 100%, in quanto erano presenti anche dei lettini bassi su cui potersi cambiare. E questo dettaglio mi ha veramente impressionata perché non ho mai trovato da nessun’altra parte, a parte la piscina dell’ospedale!!

Dunque, consiglio a tutti di andare a provare i corsi, o semplicemente un tour al lago insieme a loro.

Domenica 1 settembre, faranno un altro Open day, identico a quello che vi ho appena descritto.

Priscilla Chairleader

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A San Siro per ricordare Francesco Gallone

Il 30 gennaio 2018, esattamente un anno fa il mio telefono squillò. Era un amico che sentivo regolarmente ma che non mi aveva mai chiamato. Capii subito che non aveva niente di piacevole da dirmi e rispondendo confermò i miei pensieri: ” Franci non ce l’ha fatta”. Queste poche parole da giorni mi ripassano per la mente poichè si avvicinava l’anniversario della morte di Franci.

Francesco Gallone era un ragazzo che ho conosciuto durante il mio ricovero in unità spinale in seguito alla meningite. Io non avevo ancora il permesso di riprendere la fisioterapia e così passavo il tempo facendo il giro delle camere dai pazienti allettati.

Un giorno di gennaio stavo distribuendo frittelle di carnevale in reparto e mi fermò un signore seduto sulle poltrone in fondo ai corridoi. Era il caregiver di Francesco e mi chiese se mi andava di andare a presentarmi. Franci non era in ottima forma e in stanza notai che non c’erano letti di altri pazienti quindi mi misi subito a fargli un interrogatorio che ci fece scoprire di studiare nella stessa università e di avere entrambi un blog che si occupa di disabilità. Da quel giorno iniziai ad andare sempre a trovarlo prima di cena, ma se nel weekend c’era l’Inter sapevo che gli piaceva guardarla con la sua numerosa famiglia e io andavo quando non c’era alcun neroazzurro. Non avevamo fretta; eravamo gli unici due pazienti a non poter uscire nel fine settimana. I mesi passarono io venni dimessa, ma con i continui controlli, una volta a settimana riuscivo a fare un piccolo saluto, e ogni volta speravo di sentirmi dire “Pri, mi dimettono!” Così avremmo potuto iniziare a scrivere insieme come mi propose mesi precedenti . Quando finalmente uscì io ero già in vacanza ma poche settimane dopo organizzammo una cena per festeggiare il suo compleanno. Niente da fare, tornarono le febbri alte. Io partii nuovamente e il primo settembre trovai Franci ancora a Niguarda. Nei mesi successivi la sua salute peggiorò sempre di più.

La leucemia non gli fece vincere quella battaglia. Lo portò via dai familiari , dai tanti amici e da tutte le sue passioni. Ricordo che al funerale pensai: ” Non ho mai visto tanta gente in chiesa a Milano”. Si capiva che se n’era andata una persona più che speciale.

La stessa gente che riempì la Chiesa di Sant’Angelo oggi, a un anno dalla morte di Francesco si è ritrovata allo Stadio San Siro, casa dell’Inter e rifugio di Franci. Il Comune di Milano gli ha dedicato una targa per le battaglie a favore dei diritti di persone con disabilità. Voleva abbattere le barriere architettoniche che impedivano a lui e ad altre persone in sedia a rotelle di vedere le partite come qualsiasi tifoso.

Dentro quel corpo piccolo c’era un uomo con una tenacia inverosimile. E dopo richieste su richieste ad assessori, presidenti di associazioni e articoli di giornali, piuttosto pesanti, le squadre di Milan e Inter hanno finanziato l’alzamento della pedana per migliorare la visibilità in campo.

Alla cerimonia sono intervenuti: l’Assessore al Turismo, Sport e qualità di vita, Roberta Guaineri, Marco Rasconi, grande amico di Francesco il quale gli fece scoprire la squadra di hockey e Presidente Ledha , un consigliere della società MI Stadio che si occupa della gestione di San siro, e infine le parole più commoventi della cugina Anna. ” oggi non ci siamo ritrovati a ricordare qualcosa di passato ma qualcosa che continuerà ad essere presente anche nel futuro”.

Francesco ha così dimostrato che la perseveranza ripaga. Ha voce a chi non aveva la sua grinta e il Comune di Milano gliel’ha riconosciuto con i fatti.

A Milano i miei concittadini che creano le barriere

Cari Concittadini milanesi.

Io sto vedendo La città cambiare. Leggete questo post e ditemi: voi Milanesi volete dare il buon esempio e cambiare insieme a Milano?

5 anni fa dovetti trasferirmi per via di un incidente che mi ha paralizzato e mi costringe a vivere in sedia a rotelle. Oltre all’esigenza di una soluzione abitativa accessibile avevo quella di trovarne una non lontana da mezzi pubblici e servizi.

La mia soluzione mi ha portato in una zona strategica: esattamente sotto casa ho la fermata della metropolitana Piola e quella della Linea 39. Un vero lusso per chi vive in sedia a rotelle come me. Un lusso di cui non ho quasi mai usufruito se non per urgenze. Perché, per quanto riguarda la fermata della M2, dalla chiamata dell’agente per l’attivazione del montascale all’arrivo presso i binari per prendere il treno impiegavo dai 18 ai 22 minuti. Troppo il tempo per scoprire, a volte, che la fermata verso cui dovevo dirigermi aveva problemi, ed ero quindi costretta a cambiare piano.

Avrei potuto approfittare della 39 potendo arrivare così in Piazzale Loreto. Già! sarebbe stata una seconda scelta perfetta se non fosse che manca la segnaletica a terra e nessuno si ricorda che è vietata la sosta da 15 metri prima a 15 metri dopo il cartello di fermata del bus. Così l’intera area riservata viene occupata da auto che non permettono al mezzo pubblico di arrivare al marciapiede e aprire la rampa che dà la possibilità alle carrozzine di salire autonomamente.

Per 5 anni non ho mai detto nulla, rassegnata e con la scusa “ ci pensa mia mamma a portarmi in macchina così facciamo in fretta.”

Adesso però vedo la città cambiare. Cambia l’architettura, l’urbanistica, il modo di vivere. E il modo di pensare? Il mio è sicuramente cambiato. Voglio vivere in una città all’avanguardia ma soprattutto con cittadini all’avanguardia.

È questo il vero problema che qualche giorno fa mi ha lasciato senza parole.

Come dicevo, la metropolitana la utilizzavo solo in caso di grossa necessità. Ma dopo un anno di continui guasti al montascale della fermata Piola, a settembre ATM ha deciso di non farlo tornare in funzione dicendomi che sono in attesa di una gara d’appalto, e che solo dopo la conclusione di questa si deciderà il destino di quel montascale che rendeva la fermata accessibile ( tengo a sottolineare che essa porta al Politecnico di Milano e a due ospedali).

Ho così segnalato l’urgenza di mettere le strisce alla fermata della linea 39 che a me avrebbe sicuramente risolto il problema. A un mese dal mio appello, il 6 dicembre uscendo dal portone del mio condominio, ho trovato le strisce gialle luccicanti che ancora sprigionavano il profumo di vernice. Ho sorriso tutta mattina mentre pensavo che non avrei più rischiato di essere investita dovendo farmi posizionare in mezzo alla strada, per farmi vedere dai conducenti e chiedere la rampa a causa di tutte le auto parcheggiate sulla fermata.

La sera stessa mentre io e mia madre rientravamo, veniamo fermate da una nostra condome che con tono indignato esclama: “ Ma avete visto cosa hanno fatto? In tanti si sono lamentati! Queste strisce sono troppo lunghe!! Ho scritto immediatamente al Comune ma mi ha detto che sono le prime strisce segnaletiche europee in vigore a Milano.”

Ho prontamente risposto che ero stata io a farne richiesta perché non potevo accedere al bus. Ovviamente non ho sentito controbattere. Però è stato un dispiacere enorme sapere che più persone si sono lamentate perché preferirebbero continuare ad approfittare della mancanza di vigilanza per parcheggiare H24 sulle strisce senza la preoccupazione della rimozione, e che non abbiano lontanamente provato a chiedersi come mai dopo tanti anni siano comparse.

Ho quindi avuto la dimostrazione di quanto i miei concittadini predichino bene e razzolino male. Vogliamo essere europeisti ma la segnaletica non va bene, preferiamo non averla proprio. Parcheggiamo nel posto disabili mettendo le quattro frecce e se arriva chi veramente deve usufruire del parcheggio diciamo “Scusi, ha ragione! Un attimo”.

Per tutto questo sono convinta che sia ecessaria la sensibilizzazione e una corretta educazione a partire dalle nuove generazioni. Per essere sicuri che in futuro non debbano essere solo le persone con disabilità ad insegnare cosa è necessario fare per migliorare una qualità di vita che sia giusta per tutti. E Non solo per chi vive con handicap.

Priscilla Chairleader

Accessibilità: Venezia con le gondole – Milano…a casa

Venerdì 11 marzo l’associazione Gondolas4all ha raggiunto un grande obbiettivo che ha fatto acquisire 100 punti alla città di Venezia per quanto riguarda l’abbattimento di barriere architettoniche. È stata infatti installata in laguna una piattaforma mobile che permette a persone in sedia a rotelle di accedere alle gondole, simbolo universale della città più affascinante del mondo. La prima persona ad aver avuto l’onore di accedervi è un bambino di 8 anni, Nicolò, che ho avuto la fortuna di conoscere sulle piste da sci. Per l’occasione è intervenuta anche Striscia la Notizia riprendendo l’avvenimento. Sono riuscita a vedere l’intervento grazie ai video di Internet e……. Il sorriso di Nico spiegava tutto.

  
Ieri sera mentre Striscia la Notizia e altri telegiornali trasmettevano il servizio della pedana per gondole, io mi trovavo a cena con amiche a mangiare tigelle e gnocco fritto. Vi starete chiedendo che pertinenza abbia la mia serata con ciò che ho appena raccontato.

Beh, centra il fatto che ieri sera avrei voluto vivere a Venezia, prendere comodamente la mia gondola e tornare a casa senza farmi venire ulcere per il nervoso. Vivo a Milano e in assenza del mio autista di fiducia (mia mamma) prendo la metro se capita che devo spostarmi in quelle poche zone in cui so per certo che l’ATM riesce a far funzionare tutto. Ieri mi trovavo in zona Arena, la stazione più vicina era quella di Moscova ma sapevo che non era provvista di montascale. L’idea iniziale era quella di raggiungere Porta Garibaldi ma poi iniziò a piovere, così abbiamo optato per andare a Lanza, “È la stazione del Teatro Piccolo, avranno sicuramente il montascale”. No. Figurati se la stazione appena fuori da uno dei teatri meneghini più importanti è accessibile. Così sotto la pioggia io e le mie amiche cerchiamo di raggiungere la stazione di Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco. Vediamo finalmente il cartello con l’indicazione per il montascale, raggiungiamo l’uscita e….. È chiusa. Ma come? Non mi dire che Atm sia così furba da tener chiusa dopo un certo orario PROPRIO L’USCITA DOTATA DI MONTASCALE?! Invece sì. C’era un bel cartello che diceva “Chiuso. Utilizzare l’ingresso lato Piazza Castello”, ovviamente valido solo per persone che sono in grado di deambulare, mentre per chi come me è in carrozzina si attacca al tram. Ah no, solo se sono accessibili e non si bloccano quando attivano la pedana.

 
Stanche, bagnate, e io alquanto incazzata, siamo state obbligate  a raggiungere la stazione di Cadorna. Che grazie al cielo è provvista di ascensore fino ai binari. Così dopo mezz’ora siamo riuscite a raggiungere la metro. Ma non ho potuto fare a meno di pensare alla situazione mezzi pubblici a Milano per quanto riguarda persone con disabilità. Ero convinta sarebbe migliorata la situazione con l’arrivo di Expo, anche per l’abbattimento di barriere architettoniche , ma così non è stato. L’unico miglioramento è stato quello della linea M5, che però dal centro raggiunge solo zone periferiche. Ma almeno ogni stazione è provvista di ascensore. Però mi chiedo com’è possibile che Barcellona sia accessibile dal 1992, per via delle Olimpiadi, e Milano per Expo 2015 non è riuscita nemmeno a fare manutenzione sui tram che dovrebbero essere accessibili?

Prima o poi qualcuno prenderà sul serio il tema abbattimenti architettonici? O se proprio non si vuole prendere in considerazione, riuscirà l’azienda che si occupa dei trasporti a fare più attenzione?

Priscilla_Chairleader 

 

Handicappato o non Handicappato? Il perché non lo ritengo un insulto

Domenica sera avevo il mio solito appuntamento con il programma televisivo Le Iene, su Italia uno. Cercavo di resistere al sonno. Il giorno precedente (30 gennaio) a Roma si era svolto il Family Day, ed ero sicura al 100% che la iena Enrico Lucci avrebbe presenziato! Non potevo perdermi il suo servizio! 

E infatti non mi ha deluso…. O almeno.. A non deludere è stato Gasparri, che ha fatto l’ennesima figuraccia! Nel servizio l’ONOREVOLE alla vista di Lucci esordisce dicendo «Oggi è il Family Day, non è l’Handicappato Day, però ci sei pure te». Io tra me e me ridevo, ma per la figuraccia fatta dal Vicepresidente del Senato, non per l’insulto in sè, fatto a Enrico Lucci.

Con il termine handicappato si vuole indicare una persona con un handicap fisico o mentale, ma da tempo ha assunto significato dispregiativo e viene sostituito dal sostantivo “disabile”. Ma cosa cambia? Il significato rimane lo stesso. Io, in quanto disabile HO UN HANDICAP. Non posso fare la vittima ogni volta che sento utilizzare questo termine. Ci sono livelli più o meno gravi di disabilità. Anche persone a cui mancano solo due dita hanno un handicap. Da quando sono in carrozzina è successo più di una volta che a dei miei amici, scherzando tra loro, scampassero frasi tipo «guidi come un handicappato» e subito si sentivano mortificati per averle pronunciate davanti a me. Ho sempre spiegato loro di non essermi mai sentita offesa in alcun modo. Io stessa con amici in carrozzina scherzo utilizzando questo termine. I miei maestri di sci sono paraplegici, e rivolgendosi a me e ad un altro amico tetraplegico dicono: «Appartenete ad una brutta razza di disabili». Sempre in tono scherzoso ovviamente. Un termine che invece trovo essere molto offensivo è DOWN, perché non generalizza. A volte lo si usa al posto della parola “handicappato”. Down è veramente inappropriato da utilizzare, poiché le persone affette da questa particolare sindrome sono estremamente affettive, buone e intelligenti. Il termine handicappato è generale, non lo vedo carico di odio, per questo non ritengo questa parola una vera e propria offesa.

Dopo la gaffe fatta da Gasparri è partita addirittura una petizione, che chiede all’ex Ministro delle Comunicazioni di porgere le sue scuse ai disabili. Sicuramente in quanto personaggio politico non dovrebbe far uscire dalla bocca certi commenti, soprattutto davanti le telecamere di emittenti televisive. A parer mio, Gasparri dovrebbe chiedere scusa a tutti gli italiani che lo hanno votato, poiché in quanto esperto di Comunicazioni non sembra valere molto. 

Sono una ragazza disabile, e mi sarei sentita offesa se qualcuno avesse dato dell’handicappato a Gasparri accomunandolo a me. 🤗

Priscilla_Chairleader

Rugby in Carrozzina Gran Prix – Tappa Milano

Weekend frenetico al campo sportivo G.B. Curioni, dove la AS Rugby Milano ha ospitato la manifestazione di Rugby in carrozzina, organizzata dalla Polisportiva Milanese e voluta dalla Fispes.
Si trattava della prima tappa del Gran Prix Rugby in carrozzina, in cui si sono sfidate 4 squadre miste, con atleti provenienti da Padova, Milano, Roma, e addirittura Barcellona.Questa manifestazione è stata voluta per promuovere lo sport di Rugby in carrozzina che in Italia non è ancora conosciuto in tutto il territorio, e dunque per cercare nuove reclute con la voglia di frequentare questo ambiente e far crescere la disciplina.

Se si osserva per la prima volta una partita di Rugby in carrozzina ci si spaventa. Gli atleti sfrecciano su carrozzine che ricordano dei piccoli carro armati, e durante la fase del “placcaggio”, si assiste ad un vero e proprio incidente, e si pensa che la persona sulla sedia a rotelle possa schizzare fuori dalla palestra per il forte scontro. È sì uno sport dinamico, ma dietro ci sono regole severe. Ad esempio, si può giocare solo se la disabilità colpisce almeno tre arti. Per questo la maggior parte degli atleti sono ragazzi tetraplegici, o poliomieliti; inoltre ad ogni giocatore corrisponde un punteggio, da 0.5 a 3.5 in base alle sue capacità fisiche, e la squadra per giocare deve totalizzare un punteggio di 8.0. La palla con la quale si gioca non è ovale ma rotonda per agevolare la presa e una squadra è composta da quattro giocatori. 

Il Gran Prix Rugby in carrozzina si svolgerà un fine settimana al mese, e toccherà diverse città. 

La prossima tappa è quella di Sacile, in provincia di Pordenone, che ospiterà la manifestazione il prossimo 28-29 Novembre.

Se si pensa al rugby immaginiamo ragazzi-armadi che corrono per il campo, scontrandosi e alzando zolle di terreno. Ma, a parer mio, il Rugby in carrozzina è ancora più tosto, perché ci vogliono veramente le palle a non aver il controllo della maggior parte del corpo e fiondarsi a tutta velocità per fermare l’avversario, rischiando di cadere.

Però anche questo è il bello dello sport, e inoltre aiuta da sempre l’integrazione di un individuo e stimola la voglia di raggiungere un obbiettivo con tutte le forze che si hanno in corpo.
 

Consiglio dunque, a chi ha i requisiti per fare questo sport, di prenderlo seriamente in considerazione!  

Si attendono nuovi atleti
🏉

Priscilla_Chairleader

Quando Volare è Potere!

Quella di ieri è stata una domenica da coma… Letteralmente…Dopo aver passato il sabato sera tra le code di circa 5-6 camioncini in occasione dell’International Street Food Festival, a mangiare panini e dolci pesantissimi, e qualche ora a letto, mi sono diretta verso l’aeroporto di Migliaro, in provincia di Cremona, in compagnia di due tra i miei più cari amici e altri due ragazzi fantastici che vivono la mia situazione, per fare il mio 2º LANCIO CON PARACADUTE!!

Il primo è avvenuto lo scorso maggio, durante una manifestazione organizzata dall’Associazione We Fly Team svoltasi sempre a Cremona, dove lavora lo SkyTeamCremona. Grazie a questi ultimi è possibile lanciarsi in tandem anche a ragazzi su sedia a rotelle, utilizzando un’imbracatura speciale. 

Roberto Sala, istruttore di paracadutismo di SkyTeamCremona, ha studiato quest’imbracatura nel ’98, quando un ragazzo tetraplegico l’ha contattato chiedendogli se sarebbe mai stato possibile per lui lanciarsi con il paracadute. Da lì è partito il passaparola che ha reso famoso il centro anche per questi tandem “speciali”.

Tutti i collaboratori del centro che ho avuto la fortuna di conoscere sono persone di grande esperienza e grandissima personalità! Infatti ho voluto tornare a lanciarmi anche per il legame che ho stretto con tutti loro! Primi tra tutti Carolina e Marco, che sono stati i miei video-maker!

Quando si arriva al centro iniziano ad organizzare i gruppi di lancio. Essendoci un’unica imbracatura per disabili, io, Luca e Davide (i miei amici in carrozzina) non siamo riusciti a stare sullo stesso aereo, ma fortunatamente ho potuto comunque fare il lancio con i miei due amici venuti apposta dal Veneto per seguirmi in quest’avventura! 

Il cielo non era dei migliori, ma le nuvole e il freddo non ci avrebbero mai fermato. Così dopo aver indossato la tuta, ho atteso l’atterraggio di Luca per poter mettere l’imbracatura, e alle 11.30 sono salita sull’aereo con i miei amici e la banda di matti dello SkyTeam. All’interno del velivolo io e i miei amici avevamo i classici sorrisi da stress, quasi paralizzati nell’attesa di raggiungere la quota di lancio: ben 4200m!

Fuori dal finestrino la pianura padana è una griglia irregolare di campi verdi e color grano, tagliata dalle morbide curve del Po, e come cornice, le Alpi… Ma il tempo per ammirare il panorama è poco, perché all’improvviso si apre il portone dell’aereo ed in pochi secondi le mie gambe sono a penzoloni… 1,2,3… 

Circa 60 secondi in caduta libera a 200 km/h. Il cuore in gola e la faccia che in un attimo si congela. Ogni tanto guardo la videocamera per sorridere e nel frattempo penso a come saranno conciati i capelli una volta atterrata. Il momento Che preferisco di più è quello dell’apertura del paracadute, quando si rimbalza di botto nel cielo e inizio a sentirmi leggerissima. 

E poi di nuovo adrenalina! Quando Valerio, il mio istruttore, inizia a fare delle virate strette! Dopodiché ci avviciniamo alla pista, e in pochi secondi sono di nuovo con i piedi sul suolo, ma l’unica cosa a cui si pensa è “Ancora, ancora, ancora!!”.
Qualche secondo dopo di me atterrano anche i miei amici. Anche le loro facce sono soddisfatte! 

E penso che non possa esserci sensazione migliore. Essendo uno sport estremo, non avrei mai pensato di poter fare un lancio con paracadute dopo l’incidente. Eppure ne ho già fatti due, e il terzo arriverà sicuramente! 

Perché volere è potere. O meglio…. VOLARE

Priscilla_ChairLeader