A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più : Mamma

Questa lettura è dedicata alla persona più importante della mia vita. La mia mamma. E vorrei condividere con voi alcuni pensieri per farvi riflettere sul rapporto che c’è tra madre e figlio. 

Chissà, magari alla fine di queste righe andrete dalle vostre madri ad abbracciarle in silenzio e per lei sarà il momento più soddisfacente della giornata.
Negli anni ho sempre guardato mia madre come fa qualsiasi figlio.. con rispetto, amore, e quando ci sono stati i problemi legati all’adolescenza l’ho guardata con quei classici sguardi imbronciati che caratterizzano tutti i teenager. Fortunatamente lei non è mai stata una donna severa, mi ha sempre lasciato molta libertà, e se mi capitava di nasconderle qualcosa, quando veniva a scoprire il fattaccio non mi ha mai dato punizioni. Qualcuno potrebbe pensare che è segno di una persona con poco polso, invece grazie a questo suo atteggiamento non mi sono mai spinta in qualcosa di troppo pericoloso proprio perché non volevo vedere sul suo viso del dispiacere procuratole da me.
In seguito è successo l’impensabile. L’incidente.
Una volta sveglia nel letto di rianimazione mi hanno immediatamente comunicato che non avrei più camminato. I pensieri nella testa non erano chiarissimi, ma non appena vidi mia madre entrare in camera il cuore si bloccò. Volevo solo chiederle scusa perché vedevo il suo viso impregnato di dolore, nonostante cercasse di fare del suo meglio per mascherarlo con un finto sorriso per non mostrare apprensione.

Ma scusa di cosa“, penserete? Mi hanno appena svegliato da un coma farmacologico, spiegato senza giri di parole che non camminerò mai più, e penso solo a chiedere scusa a mia madre??
La sensazione di delusione era fortissima, e non mi accorsi che non potevo abbracciarla per confortarla poiché non ero in grado di muovermi. Quando c’è la necessità di chiedere scusa niente è meglio di un abbraccio, e io non sapevo proprio cosa fare. Potevo solo rimanere ferma a guardarla, senza poter dire una parola a causa dell’intubazione. Cosa le stavo facendo patire??
Passarono i mesi e le mie condizioni miglioravano sempre più. Mi trasferirono in un altro ospedale, dal letto passai alla sedia a rotelle, iniziai a spingermi, a mangiare e a lavarmi il viso da sola. Tutti traguardi che raggiungevo con mia madre a fianco. Ogni giorno, dalla notte dell’incidente, si è dedicata esclusivamente a me. Prendeva il treno e passava le giornate in ospedale ad osservare ogni miglioramento. Nei momenti di sconforto era la prima a dirmi “Guarda quanto stai facendo!“, proprio perché non mi perdeva d’occhio un minuto. Ancora adesso quando riesco a fare qualcosa di nuovo il suo viso si illumina e questa per me è la ricompensa più grande di tutte.

Ad esempio l’inverno scorso, durante uno dei week-end passati a sciare con l’associazione Sporting Spirit Ski Team, riuscì a fare una piccolissima discesa in totale autonomia con il monosci. Io mi voltai verso mia madre perché sapevo che mi stava riprendendo in un video, e la vidi piangere. Erano lacrime di gioia che le si versarono direttamente in gola perché aveva la bocca completamente tirata verso l’alto per il sorriso enorme che aveva.

Ancora una volta io non ero contenta per la mia conquista, ma per esser riuscita a donare 1 minuto di felicità alla persona che stava rendendo tutto ciò possibile. Perché senza la sua insistenza e tenacia molte prove forse non le avrei nemmeno tentate.

Ognuno di noi ha un legame speciale con la propria madre. Ma possiamo renderci conto di quanto questi siano forti solo quando noi figli siamo in difficoltà. Ed è ciò che è avvenuto nella mia situazione. Per questo vi chiedo di dare alle vostre mamme delle attenzioni in più, perché non è necessario che avvengano le disgrazie per dire “Mia madre è la più forte del mondo”. Ognuna di loro ha una forza incredibile che tirerà sempre fuori per noi quando ci sarà necessità.

Basta guardare un qualsiasi documentario che osserva nuclei familiari di animali. Sono le madri le protettrici. Nella maggior parte dei casi sono loro quelle che mettono a rischio la loro vita per la sopravvivenza dei piccoli.

Io vedo mia madre come una leonessa. E questo da molto tempo prima che avvenisse l’incidente. Da dieci anni il nostro rapporto è diventato indissolubile, e in più di un’occasione ho avuto modo di ricambiare i favori difendendola come meglio potevo. Vorrei per lei una vita da sogno, quelle che solo le regine possono permettersi. 

Ma qui siamo nel mondo reale e l’unica cosa che posso fare è cercare di darle tranquillità e renderla orgogliosa, nonostante sappia che un figlio può sbagliare tutte le volte che vuole,

una madre perdonerà sempre.

Ti amo mamma…

Priscilla_Chairleader

ALL’ARREMBAGGIO: per chi non ha la forza di reagire.

Vi chiedo di spendere 2′ del vostro tempo per leggere una piccola riflessione che mi sono trovata a fare nei giorni scorsi. Per me è importante e potrebbe esserlo anche per voi.

Sono passati più di tre anni da quando la mia vita ha subito un cambiamento drastico. Chi mi conosce o chi mi segue sui social è convinto che abbia dentro di me una forza incredibile difficile da trovare in una ventenne, e crede che sia riuscita ad accettare nel miglior modo possibile questa difficile situazione. In realtà di fronte a me ho solo due possibilità: scegliere di reagire, o buttarmi in giù. Ovviamente in senso metaforico perché nelle mie condizioni sarebbe difficile!

Analizziamo la situazione. Se la mia mente non reagisse passerei il tempo a guardare serie TV su Netflix, chiamando continuamente mia madre per farmi passare acqua, merendine, telefono, telecomando e ci sarebbe un bel buco al centro del letto. Insomma, sarei l’avatar di Snorlax con sembianze umane, e a fine giornata non avrei dato nè ricevuto nulla.

Trovo che arrendersi sia troppo facile, e la resa non ha mai fatto parte del mio codice genetico, ma sono convinta che non appartenga a nessuno di noi poiché la sopravvivenza è un istinto naturale. Così la mattina appena sveglia mi stropiccio gli occhi, sbuffo un po’ e poi inizio la mia giornata. Di mese in mese le mie priorità cambiano, e devo ancora capire se perché sono indecisa o perché voglio fare troppe cose. Ad esempio, in questo momento la mia priorità è spaccarmi di fisioterapia per muovere il pollice sinistro. UN SOLO POLLICE. Per fare ciò ho dovuto mettere da parte gli studi per sottopormi ad un intervento che fortunatamente è riuscito! 

Adesso questa è diventata la normalità per me. Ma la scorsa settimana, parlando con un ragazzo, mi sono resa conto che per il resto delle persone sarebbe una cosa impensabile. Giustamente. D’altronde nemmeno io avrei pensato ad una cosa del genere anni fa. <<Tu mi stai dicendo che sarai la ragazza più felice del mondo quando riuscirai a fare l’intervento per muovere il tricipite. Incredibile.>>, queste sono state le sue parole. Inizialmente non ho dato peso a quanto ha detto, perché per me questa è la quotidianità.

Ma purtroppo nei giorni scorsi la vita di alcune persone a cui tengo è stata travolta da eventi spiacevoli che hanno disturbato anche la mia quiete. E più che mai ho pensato che a quest’ora anche i miei cari avrebbero potuto piangere una figlia e un’amica. È questo il motivo della mia grinta: la paura di poter perdere tutto quello che mi circonda. Dal sorriso di mia madre, agli abbracci dei miei amici e persino l’odore di lumachina di Albarella del mio fratello peloso Roberto. Anche io vivo momenti di sconforto, la maggior parte di questi partono da vecchi ricordi. Poi prendo in mano il telefono e mi rendo conto che posso ancora comporre il numero dei miei amici che puntualmente risponderanno <<Che c’è sfigata?>> oppure <<Ciao Protetta!>> , e potrò continuare ad accumulare nuovi ricordi.

Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché se da una parte ci sono tante persone che come me cercano di vivere al meglio nonostante alcuni piccoli limiti, ci sono troppe persone che sprecano il loro tempo, consumano ossigeno senza regalare emozioni. C’è chi lo fa lamentandosi, chi divertendosi nel modo sbagliato, chi pensando solo a sè stesso. 

Principalmente mi riferisco alla prima categoria: i petulanti, quelli che sono stanchi della vita. Ci sono padri di famiglia o ragazzi giovani e pieni di vita a cui è stato strappato tutto in un battito di ciglia. Non sono andati a cercarsela, è successo e basta, senza alcuna possibilità di scelta. E questo mi fa tanta rabbia, perché qui ci sono persone che hanno dimenticato cosa significa vivere, e vorrei che mettessero da parte per una sola giornata i pensieri negativi per concentrare le loro forze in un piccolo obbiettivo che possa farli stare meglio. 

Secondo me in questo modo, le persone che ogni giorno ci lasciano senza preavviso continueranno a vivere. E non ci sarà più motivo per i familiari o per gli amici di essere arrabbiati e di ripetere <<Perché proprio lui che aveva ancora tanto da offrire>> . Quanti di noi hanno ripetuto una frase simile perdendo qualcuno di importante? Conosco molte persone che si danno per vinti, ma non è possibile prendere uno per uno tutti quanti e trovare un modo per incoraggiarli e far capire loro che devono dare il massimo per sè stessi e per le persone che non ci sono più. Non ho idea di come si possa fare, però mi basta che tra voi lettori ci sia qualcuno che capisca ciò che intendo, e che se dovesse conoscere qualcuno che non riesce a reagire gli faccia un discorso simile al mio. 

Basta veramente poco per poter uscire dal limbo della depressione. Basta una sola persona che ci sorrida. E ripetersi che niente è perduto, perché qualsiasi cosa è raggiungibile nonostante possano esserci tempi di attesa lunghi e nuovi ostacoli. Il mio ultimo tatuaggio recita “Esistono vite che capitano e vite da capitano“. Non c’è niente di più vero. Io ho deciso di prendere in mano il timone, nonostante le mie mani da tetraplegica mi impediscano una buona presa, e di superare qualsiasi tempesta. Non sono sola, ho una ciurma ricca di buoni amici e una mamma fantastica. Così quando rischierò di andare alla deriva avrò qualcuno che proverà a salvarmi. Nel frattempo spero di incontrare sempre più navi con persone decise a non fermarsi al primo porto. E spero continueranno a fare lo stesso anche quegli amici e parenti che hanno perso una persona che avrebbe regalato loro ancora tante emozioni ma che il destino ha voluto fermare. Dunque non fermatevi voi. In una sola parola : ALL’ARREMBAGGIO!

Dedicato a Massimo e Chiara ❤️
Priscilla_Chairleader

Accessibilità: Venezia con le gondole – Milano…a casa

Venerdì 11 marzo l’associazione Gondolas4all ha raggiunto un grande obbiettivo che ha fatto acquisire 100 punti alla città di Venezia per quanto riguarda l’abbattimento di barriere architettoniche. È stata infatti installata in laguna una piattaforma mobile che permette a persone in sedia a rotelle di accedere alle gondole, simbolo universale della città più affascinante del mondo. La prima persona ad aver avuto l’onore di accedervi è un bambino di 8 anni, Nicolò, che ho avuto la fortuna di conoscere sulle piste da sci. Per l’occasione è intervenuta anche Striscia la Notizia riprendendo l’avvenimento. Sono riuscita a vedere l’intervento grazie ai video di Internet e……. Il sorriso di Nico spiegava tutto.

  
Ieri sera mentre Striscia la Notizia e altri telegiornali trasmettevano il servizio della pedana per gondole, io mi trovavo a cena con amiche a mangiare tigelle e gnocco fritto. Vi starete chiedendo che pertinenza abbia la mia serata con ciò che ho appena raccontato.

Beh, centra il fatto che ieri sera avrei voluto vivere a Venezia, prendere comodamente la mia gondola e tornare a casa senza farmi venire ulcere per il nervoso. Vivo a Milano e in assenza del mio autista di fiducia (mia mamma) prendo la metro se capita che devo spostarmi in quelle poche zone in cui so per certo che l’ATM riesce a far funzionare tutto. Ieri mi trovavo in zona Arena, la stazione più vicina era quella di Moscova ma sapevo che non era provvista di montascale. L’idea iniziale era quella di raggiungere Porta Garibaldi ma poi iniziò a piovere, così abbiamo optato per andare a Lanza, “È la stazione del Teatro Piccolo, avranno sicuramente il montascale”. No. Figurati se la stazione appena fuori da uno dei teatri meneghini più importanti è accessibile. Così sotto la pioggia io e le mie amiche cerchiamo di raggiungere la stazione di Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco. Vediamo finalmente il cartello con l’indicazione per il montascale, raggiungiamo l’uscita e….. È chiusa. Ma come? Non mi dire che Atm sia così furba da tener chiusa dopo un certo orario PROPRIO L’USCITA DOTATA DI MONTASCALE?! Invece sì. C’era un bel cartello che diceva “Chiuso. Utilizzare l’ingresso lato Piazza Castello”, ovviamente valido solo per persone che sono in grado di deambulare, mentre per chi come me è in carrozzina si attacca al tram. Ah no, solo se sono accessibili e non si bloccano quando attivano la pedana.

 
Stanche, bagnate, e io alquanto incazzata, siamo state obbligate  a raggiungere la stazione di Cadorna. Che grazie al cielo è provvista di ascensore fino ai binari. Così dopo mezz’ora siamo riuscite a raggiungere la metro. Ma non ho potuto fare a meno di pensare alla situazione mezzi pubblici a Milano per quanto riguarda persone con disabilità. Ero convinta sarebbe migliorata la situazione con l’arrivo di Expo, anche per l’abbattimento di barriere architettoniche , ma così non è stato. L’unico miglioramento è stato quello della linea M5, che però dal centro raggiunge solo zone periferiche. Ma almeno ogni stazione è provvista di ascensore. Però mi chiedo com’è possibile che Barcellona sia accessibile dal 1992, per via delle Olimpiadi, e Milano per Expo 2015 non è riuscita nemmeno a fare manutenzione sui tram che dovrebbero essere accessibili?

Prima o poi qualcuno prenderà sul serio il tema abbattimenti architettonici? O se proprio non si vuole prendere in considerazione, riuscirà l’azienda che si occupa dei trasporti a fare più attenzione?

Priscilla_Chairleader 

 

Handicappato o non Handicappato? Il perché non lo ritengo un insulto

Domenica sera avevo il mio solito appuntamento con il programma televisivo Le Iene, su Italia uno. Cercavo di resistere al sonno. Il giorno precedente (30 gennaio) a Roma si era svolto il Family Day, ed ero sicura al 100% che la iena Enrico Lucci avrebbe presenziato! Non potevo perdermi il suo servizio! 

E infatti non mi ha deluso…. O almeno.. A non deludere è stato Gasparri, che ha fatto l’ennesima figuraccia! Nel servizio l’ONOREVOLE alla vista di Lucci esordisce dicendo «Oggi è il Family Day, non è l’Handicappato Day, però ci sei pure te». Io tra me e me ridevo, ma per la figuraccia fatta dal Vicepresidente del Senato, non per l’insulto in sè, fatto a Enrico Lucci.

Con il termine handicappato si vuole indicare una persona con un handicap fisico o mentale, ma da tempo ha assunto significato dispregiativo e viene sostituito dal sostantivo “disabile”. Ma cosa cambia? Il significato rimane lo stesso. Io, in quanto disabile HO UN HANDICAP. Non posso fare la vittima ogni volta che sento utilizzare questo termine. Ci sono livelli più o meno gravi di disabilità. Anche persone a cui mancano solo due dita hanno un handicap. Da quando sono in carrozzina è successo più di una volta che a dei miei amici, scherzando tra loro, scampassero frasi tipo «guidi come un handicappato» e subito si sentivano mortificati per averle pronunciate davanti a me. Ho sempre spiegato loro di non essermi mai sentita offesa in alcun modo. Io stessa con amici in carrozzina scherzo utilizzando questo termine. I miei maestri di sci sono paraplegici, e rivolgendosi a me e ad un altro amico tetraplegico dicono: «Appartenete ad una brutta razza di disabili». Sempre in tono scherzoso ovviamente. Un termine che invece trovo essere molto offensivo è DOWN, perché non generalizza. A volte lo si usa al posto della parola “handicappato”. Down è veramente inappropriato da utilizzare, poiché le persone affette da questa particolare sindrome sono estremamente affettive, buone e intelligenti. Il termine handicappato è generale, non lo vedo carico di odio, per questo non ritengo questa parola una vera e propria offesa.

Dopo la gaffe fatta da Gasparri è partita addirittura una petizione, che chiede all’ex Ministro delle Comunicazioni di porgere le sue scuse ai disabili. Sicuramente in quanto personaggio politico non dovrebbe far uscire dalla bocca certi commenti, soprattutto davanti le telecamere di emittenti televisive. A parer mio, Gasparri dovrebbe chiedere scusa a tutti gli italiani che lo hanno votato, poiché in quanto esperto di Comunicazioni non sembra valere molto. 

Sono una ragazza disabile, e mi sarei sentita offesa se qualcuno avesse dato dell’handicappato a Gasparri accomunandolo a me. 🤗

Priscilla_Chairleader

My Ghost..

Quando la notte scorre lentamente e non ho più la possibilità di prendere altre pillole per cercare di addormentarmi, diventa inevitabile guardarmi indietro. Guardarmi dentro. 

A volte mi sento troppo vecchia per la mia età. Altre volte, più che sentirmi troppo giovane, mi sento in stan-bye, come se non riuscissi ad andare più in là di dove sono. Vedo tutti andare avanti e io rimango indietro, ferma a guardare da dietro un finestrino di vetro, neanche troppo spesso. Forse mi manca qualcosa? Sto aspettando qualcuno? Sicuramente quel qualcuno sei tu.

È da tempo che non riesco a trovarti. Posso solo ricordarti e sperare che la nostalgia non prenda il sopravvento, altrimenti la mattina specchiandomi vedrò gli occhi di un pugile messo troppe volte al tappeto. Sei sparita da qualche anno ormai, e da poco sto cercando di aggiustarmi. Avrei bisogno di qualche tuo consiglio. Venivano sempre da te a confidarsi, a cercare conforto, e non importa se non avevi consigli da dare. L’importante era ascoltare. E come tutti i buoni consiglieri che si rispettano, se un problema riguardava te non sapevi come muoverti.

Adesso avrei bisogno di uno di quegli abbracci che davi a chi se lo meritava. Amavi abbracciare ed essere stretta. Era un bisogno che avevi, si notava. Qualcuno avrebbe potuto scambiarti per una persona appiccicosa, o una gatta morta, invece era uno dei tuoi tanti modi per sentirti vicina ai tuoi amici più intimi. Anche un semplice braccio intorno ai fianchi ti faceva stare tranquilla.

Non sono rimasti i tuoi capelli mossi, sempre in disordine, con il “tirabaci” davanti agli occhi che ogni due secondi dovevi scostare con la mano. Questa è un’altra tua abitudine che mi manca, una delle tante. Infatti quando ti penso, ti vedo mentre ripeti i soliti gesti, anche quelli più strani o imbarazzanti… Come inzuppare biscotti integrali in un bicchiere d’acqua durante gli improvvisi attacchi di fame. Quale persona sana di mente farebbe una cosa simile?! E poi ti rivedo alla guida di quella scatola grigia e rosa, con giù la capote, mentre canti a squarciagola gola le canzoni live di Vasco, sentendoti una It Girl. Eri convinta di andare a 100 km/h, ma raggiungevi a malapena i 70. 

Siamo così diverse. Fin dalla terza media sei sempre stata molto indipendente, hai sempre fatto quello che volevi e senza combinare guai. Se tu hai sempre avuto libertà, io ne ho meno di una bambina di 11 anni. Se tu attaccavi bottone con tutti, io non ho nulla da dire a nessuno. Se tu non vedevi l’ora di scendere in pista, e ballavi come se ci fosse spazio solo per te, io mi rifiuto di andare in posti dove c’è troppa gente, figuriamoci andare a ballare. E poi, diamine, io sono la goffaggine in persona, non riesco nemmeno a stare appoggiata ad un tavolo senza perdere l’equilibrio. Tu seppure fossi una ragazza semplice eri aggraziata nei movimenti. Camminavi dritta come se avessi inghiottito un palo anche in montagna, durante le tue passeggiate mattutine. Dovresti invece vedere come sono posizionata su questa carrozzina, ti incazzeresti da morire!! 

Sai, ho anche cambiato casa, ma spesso mi capita di passare per quella traversa di Corso Buenos Aires da cui si vede la tua vecchia abitazione. Ogni volta che la guardo mi sembra di vederti mentre fissi il Pirellone fuori dalla finestra di camera tua. Da lì i tramonti erano incredibili; ma durante la notte quante imprecazioni a causa di quel maledetto grattacielo che aveva le luci di segnalazione troppo forti, e non bastava chiudere le persiane per far sì che la stanza non si illuminasse tutta.

Si dice che nel momento stesso in cui passiamo a miglior vita, il nostro corpo si alleggerisca di 21 grammi. Tre anni fa tu non ce l’hai fatta ad uscire dalle lamiere di quell’auto incidentata sul Sempione. Sono rimasta solo io, senza quei 21 grammi che mi distinguevano. Sarà possibile riprenderli e riaverti con me?

Ultimamente ascolto spesso una canzone la cui traduzione dice “Sto cercando qualcosa che non riesco a trovare”, e ancora “Mio fantasma dove sei andato?… Cos’è successo all’anima che eri prima?”. 

Forse ti sei solo nascosta per bene e mi ci vorrà ancora qualche anno per riuscire ad assomigliarti almeno un po’. Io nel frattempo cerco di andare avanti e provo ad immaginarti vicino a me mentre spingi la mia carrozzina e mi dici che andrà tutto bene. 

Sei parte di me.
Priscilla_Chairleader

Squadra di Rugby in Carrozzina SENZA carrozzine.

Succede a Milano, dove un anno e mezzo fa Nicolò Passilongo, un ragazzo tetraplegico di 29 anni, ha fatto il possibile per poter creare una squadra di Rugby in carrozzina. Dopo aver contattato la ASD Padova Rugby, la squadra più longeva del nord Italia che da anni promuove questo sport, Nicolò ha reclutato altri ragazzi con una lesione midollare come la sua e i suoi zii sono diventati i Coach della squadra.

La Polisportiva Milanese si è occupata di trovare la palestra dove far allenare la squadra e Nicolò ha iniziato a cercare le carrozzine sportive. Una carrozzina da rugby costa €5 mila circa. La squadra non disponendo di grandi cifre si è arrangiata come meglio poteva comprando alcune carrozzine usate su internet e utilizzando 2 carrozzine da basket che avevano già in possesso due atleti. Le carrozzine da basket hanno subito qualche trasformazione: sono stati aggiunti dei copertoni in plastica per proteggere i raggi, e per i corrimano è stata utilizzata una canna dell’acqua da giardino. Tutte le carrozzine che hanno in dotazione non sono su misura. Questo comporta loro un grosso rischio poiché , stando seduti per tutta la durata dell’allenamento, potrebbero segnarsi schiena e glutei. Insomma, questi ragazzi fanno di tutto per poter allenarsi.

Ben 3 carrozzine, invece, sono state prestate dalla squadra di Rugby in carrozzina di Padova, la stessa che aveva aiutato i ragazzi di Milano a capire le regole del gioco a inizio del loro percorso. C’è dunque una forte collaborazione tra le squadre. Adesso la squadra di Padova necessita delle 3 carrozzine che aveva dato in prestito. Gli atleti e le carrozzine di Milano sono 8, e senza queste 3, la squadra rimarrebbe con il “sedere a terra”.

La cosa incredibile e che lascia perplessi è la seguente. Lo sport per persone con disabilità motorie è fondamentale per mantenere il fisico in allenamento, a volte aiuta più della fisioterapia. Eppure i costi per le attrezzature sportive sono esorbitanti, proprio come il resto degli ausili che aiutano a svolgere le attività quotidiane. Questo significa che molte persone oltre ad avere una vita più “complicata”, non può nemmeno svolgere uno sport perché diventerebbe un lusso che non può permettersi.

Comunque, i ragazzi di Milano non si perdono d’animo e sono alla ricerca di una soluzione che possa aiutarli a continuare lo sport che hanno scelto e li appassiona tanto.

Priscilla_ChairLeader

Capodanno 2016: i miei primi giorni di normalità 

Passare il Capodanno all’estero o in una capitale europea sta diventando una consuetudine per i ragazzi di oggi. Fare la valigia, prendere un volo low cost, partire e dare un taglio alla solita routine è qualcosa che mi manca molto, e dopo aver sentito più conversazioni di amici che parlavano di partenze,mi sono detta che non potevo passare ancora la sera del 31 a casa con mia madre.

L’incidente mi ha portato via l’indipendenza, il potermi prendere cura di me stessa. Da allora sono completamente dipendente dall’aiuto di mia madre: nel vestirmi, andare in bagno, lavare i capelli e tante altre cose. Come potevo pensare di partire senza lei?

Fortunatamente ho un’amica che non si è spaventata alla mia improvvisa domanda “Che ne dici fare Capodanno a Barcellona da sole?”. La stessa sera della proposta ne parlai con la mamma, che sorprendentemente accettò poiché conosce bene la mia amica Paul e sa che è in grado di aiutarmi. Così mi attaccai al computer e in 15 minuti comprai i biglietti aerei, mentre il giorno dopo prenotai l’hotel.

La scorsa estate ho trascorso 5 giorni a Barcellona con mia madre e un’altra amica e rimasi sconcertata da quanto fosse semplice per una persona in carrozzina girare per questa città meravigliosa, che allo stesso tempo è moderna ma rimane pur sempre antica. Per questo motivo ho scelto di tornare.

Avendo prenotato il volo di andata il 30 alle 6.30 del mattino, la sveglia era prevista per le 3.30! Dopo una bella dormita in aereo il risveglio è stato epico! Essendo arrivati con 30 minuti di anticipo l’assistenza non poteva ancora venirmi a prendere, così io e la mia Paul siamo rimaste in aereo con il comandante,che per svegliarsi ha deciso di mettere un po’ di musica punk-rock! Altro che caffè. Da lì capii subito che avrei passato dei bei giorni.

Oltre ad aver trovato un tempo fantastico con una temperatura massima di 17ºC, il soggiorno è stato indimenticabile. La mia Paul non si è mai arresa e non mi ha mai fatto notare la sua stanchezza. Nemmeno quando a Parc Güell abbiamo deciso di raggiungere il punto più alto, percorrendo una strada ripida e piena di pietre. L’unico inconveniente è successo la sera del 31 quando per poco Paul non rischiava di affogarmi mentre cercava di lavarmi i capelli dentro il lavandino.

La sera di Capodanno l’abbiamo passata in Plaça d’Epanya insieme ad altre 50 mila persone, con una birra in mano e come sfondo l’emozionante Font Màgica, illuminata per l’occasione da più colori. Da lontano sembrava l’ingresso per il paradiso, e allo scoccare della mezzanotte ho rivisto dopo 3 anni dei fuochi d’artificio, da sempre sul podio delle cose che più mi emozionano. Mi sentivo particolarmente a mio agio. Ero serena, finalmente ero riuscita ad allontanarmi e a fare qualcosa di normale come fanno tutti i ragazzi della mia età. Per me la normalità non è qualcosa che centra con l’aspetto estetico. Normalità per me significa andare a bere qualcosa senza avere il terrore di dover tornare a casa in tempo per andare in bagno, o poter tornare tardi la sera senza svegliare mia mamma per farmi mettere a letto. Non sarei mai riuscita a partire senza la mia Paul, ma per me è pur sempre un gran risultato. 

Questo post lo dedico a tutte quelle persone che sono ancora in ospedale o sono state dimesse da poco. Raggiungere l’indipendenza sarà il percorso più duro. Da parte nostra serve tenacia e costanza, ma c’è bisogno anche di persone che non hanno paura di starci vicino. Senza la fiducia di mia madre, la positività di Paul e la mia voglia di andare avanti non avrei potuto organizzare questi 3 giorni.

Il 2016 voglio costruirlo pezzo dopo pezzo, sperando fili liscio come questi giorni passati a Barcellona che mi hanno aperto gli occhi, mostrandomi quanto ancora io possa fare, con l’aiuto di chi veramente mi ha a cuore.

Priscilla_ChairLeader 

Carrozzine, Piume e Paillettes: il Calendario Burlesque della Fondazione Vertical.

Un calendario con donne in carrozzina che posano insieme ad artiste di Burlesque, per raccogliere fondi in favore della ricerca sulle lesioni midollari. Questa è l’ennesima idea innovativa della Fondazione Vertical che ha compiuto quest’anno 10 anni di vita e di scommesse vincenti. Il ricavato della vendita del calendario andrà a finanziare borse di studio per giovani ricercatori che credono nei progetti Vertical. La Fondazione Vertical collabora già con il centro di nanomedicina dell’Ospedale Ca’ Granda e con il laboratorio di ricerca del San Paolo, entrambi a Milano, ai quali ha finanziato grandi progetti, molto promettenti nella cura della paralisi.

Così, una sera ho ricevuto una chiamata dal Presidente della Fondazione Vertical Lombardia, Andrea Cerra, il quale mi chiedeva se ero disponibile per posare. L’idea mi ha fatto impazzire per l’entusiasmo. Lo shooting è stato realizzato presso il Teatro San Teodoro di Cantù dalla fotografa Beatrice Mancini, e il tema scelto per gli scatti era il Burlesque.

Appena mi sono guardata allo specchio mi sono sentita….WOWW.. Ed ero pronta a mettermi in mostra e a giocare per un giorno a fare la fotomodella. Vedevo Mizi e Golden molto sicure di sè e cercavo di imitarle. Ogni 5 minuti c’era un cambio abito, e i vestiti volavano per tutto il palcoscenico. Mentre posavo mi tornavano alla mente ricordi di quando sfilavo con gli amici del mare per le competizioni organizzate dallo stabilimento in cui passavo le vacanze. Non volevo però far vincere la nostalgia, e così ho cercato di dare il meglio di me, accavallando le lunghe gambe che adesso fanno fatica a farsi notare e socchiudendo le labbra messe in risalto dal rossetto.

Abbiamo lavorato ininterrottamente dalle ore 10 alle 16, riuscendo a realizzare tutti gli scatti. Speravo che la giornata potesse non finire mai. È incredibile come del trucco e abiti succinti possano darti tanta forza e autostima. Per una giornata mi sono nuovamente sentita valorizzata e bella.

Sarà possibile acquistare il calendario nelle prossime settimane facendo una donazione, tramite il sito Follepoque delle due performer, o il sito della Fondazione Vertical .

Ancora Grazie di cuore alla Fondazione Vertical, al duo Mizi Ma Grand’Ame e Golden DinDin, e alla fotografa Beatrice Mancini.

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Rugby in Carrozzina Gran Prix – Tappa Milano

Weekend frenetico al campo sportivo G.B. Curioni, dove la AS Rugby Milano ha ospitato la manifestazione di Rugby in carrozzina, organizzata dalla Polisportiva Milanese e voluta dalla Fispes.
Si trattava della prima tappa del Gran Prix Rugby in carrozzina, in cui si sono sfidate 4 squadre miste, con atleti provenienti da Padova, Milano, Roma, e addirittura Barcellona.Questa manifestazione è stata voluta per promuovere lo sport di Rugby in carrozzina che in Italia non è ancora conosciuto in tutto il territorio, e dunque per cercare nuove reclute con la voglia di frequentare questo ambiente e far crescere la disciplina.

Se si osserva per la prima volta una partita di Rugby in carrozzina ci si spaventa. Gli atleti sfrecciano su carrozzine che ricordano dei piccoli carro armati, e durante la fase del “placcaggio”, si assiste ad un vero e proprio incidente, e si pensa che la persona sulla sedia a rotelle possa schizzare fuori dalla palestra per il forte scontro. È sì uno sport dinamico, ma dietro ci sono regole severe. Ad esempio, si può giocare solo se la disabilità colpisce almeno tre arti. Per questo la maggior parte degli atleti sono ragazzi tetraplegici, o poliomieliti; inoltre ad ogni giocatore corrisponde un punteggio, da 0.5 a 3.5 in base alle sue capacità fisiche, e la squadra per giocare deve totalizzare un punteggio di 8.0. La palla con la quale si gioca non è ovale ma rotonda per agevolare la presa e una squadra è composta da quattro giocatori. 

Il Gran Prix Rugby in carrozzina si svolgerà un fine settimana al mese, e toccherà diverse città. 

La prossima tappa è quella di Sacile, in provincia di Pordenone, che ospiterà la manifestazione il prossimo 28-29 Novembre.

Se si pensa al rugby immaginiamo ragazzi-armadi che corrono per il campo, scontrandosi e alzando zolle di terreno. Ma, a parer mio, il Rugby in carrozzina è ancora più tosto, perché ci vogliono veramente le palle a non aver il controllo della maggior parte del corpo e fiondarsi a tutta velocità per fermare l’avversario, rischiando di cadere.

Però anche questo è il bello dello sport, e inoltre aiuta da sempre l’integrazione di un individuo e stimola la voglia di raggiungere un obbiettivo con tutte le forze che si hanno in corpo.
 

Consiglio dunque, a chi ha i requisiti per fare questo sport, di prenderlo seriamente in considerazione!  

Si attendono nuovi atleti
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Priscilla_Chairleader

Quando Volare è Potere!

Quella di ieri è stata una domenica da coma… Letteralmente…Dopo aver passato il sabato sera tra le code di circa 5-6 camioncini in occasione dell’International Street Food Festival, a mangiare panini e dolci pesantissimi, e qualche ora a letto, mi sono diretta verso l’aeroporto di Migliaro, in provincia di Cremona, in compagnia di due tra i miei più cari amici e altri due ragazzi fantastici che vivono la mia situazione, per fare il mio 2º LANCIO CON PARACADUTE!!

Il primo è avvenuto lo scorso maggio, durante una manifestazione organizzata dall’Associazione We Fly Team svoltasi sempre a Cremona, dove lavora lo SkyTeamCremona. Grazie a questi ultimi è possibile lanciarsi in tandem anche a ragazzi su sedia a rotelle, utilizzando un’imbracatura speciale. 

Roberto Sala, istruttore di paracadutismo di SkyTeamCremona, ha studiato quest’imbracatura nel ’98, quando un ragazzo tetraplegico l’ha contattato chiedendogli se sarebbe mai stato possibile per lui lanciarsi con il paracadute. Da lì è partito il passaparola che ha reso famoso il centro anche per questi tandem “speciali”.

Tutti i collaboratori del centro che ho avuto la fortuna di conoscere sono persone di grande esperienza e grandissima personalità! Infatti ho voluto tornare a lanciarmi anche per il legame che ho stretto con tutti loro! Primi tra tutti Carolina e Marco, che sono stati i miei video-maker!

Quando si arriva al centro iniziano ad organizzare i gruppi di lancio. Essendoci un’unica imbracatura per disabili, io, Luca e Davide (i miei amici in carrozzina) non siamo riusciti a stare sullo stesso aereo, ma fortunatamente ho potuto comunque fare il lancio con i miei due amici venuti apposta dal Veneto per seguirmi in quest’avventura! 

Il cielo non era dei migliori, ma le nuvole e il freddo non ci avrebbero mai fermato. Così dopo aver indossato la tuta, ho atteso l’atterraggio di Luca per poter mettere l’imbracatura, e alle 11.30 sono salita sull’aereo con i miei amici e la banda di matti dello SkyTeam. All’interno del velivolo io e i miei amici avevamo i classici sorrisi da stress, quasi paralizzati nell’attesa di raggiungere la quota di lancio: ben 4200m!

Fuori dal finestrino la pianura padana è una griglia irregolare di campi verdi e color grano, tagliata dalle morbide curve del Po, e come cornice, le Alpi… Ma il tempo per ammirare il panorama è poco, perché all’improvviso si apre il portone dell’aereo ed in pochi secondi le mie gambe sono a penzoloni… 1,2,3… 

Circa 60 secondi in caduta libera a 200 km/h. Il cuore in gola e la faccia che in un attimo si congela. Ogni tanto guardo la videocamera per sorridere e nel frattempo penso a come saranno conciati i capelli una volta atterrata. Il momento Che preferisco di più è quello dell’apertura del paracadute, quando si rimbalza di botto nel cielo e inizio a sentirmi leggerissima. 

E poi di nuovo adrenalina! Quando Valerio, il mio istruttore, inizia a fare delle virate strette! Dopodiché ci avviciniamo alla pista, e in pochi secondi sono di nuovo con i piedi sul suolo, ma l’unica cosa a cui si pensa è “Ancora, ancora, ancora!!”.
Qualche secondo dopo di me atterrano anche i miei amici. Anche le loro facce sono soddisfatte! 

E penso che non possa esserci sensazione migliore. Essendo uno sport estremo, non avrei mai pensato di poter fare un lancio con paracadute dopo l’incidente. Eppure ne ho già fatti due, e il terzo arriverà sicuramente! 

Perché volere è potere. O meglio…. VOLARE

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