ALL’ARREMBAGGIO: per chi non ha la forza di reagire.

Vi chiedo di spendere 2′ del vostro tempo per leggere una piccola riflessione che mi sono trovata a fare nei giorni scorsi. Per me è importante e potrebbe esserlo anche per voi.

Sono passati più di tre anni da quando la mia vita ha subito un cambiamento drastico. Chi mi conosce o chi mi segue sui social è convinto che abbia dentro di me una forza incredibile difficile da trovare in una ventenne, e crede che sia riuscita ad accettare nel miglior modo possibile questa difficile situazione. In realtà di fronte a me ho solo due possibilità: scegliere di reagire, o buttarmi in giù. Ovviamente in senso metaforico perché nelle mie condizioni sarebbe difficile!

Analizziamo la situazione. Se la mia mente non reagisse passerei il tempo a guardare serie TV su Netflix, chiamando continuamente mia madre per farmi passare acqua, merendine, telefono, telecomando e ci sarebbe un bel buco al centro del letto. Insomma, sarei l’avatar di Snorlax con sembianze umane, e a fine giornata non avrei dato nè ricevuto nulla.

Trovo che arrendersi sia troppo facile, e la resa non ha mai fatto parte del mio codice genetico, ma sono convinta che non appartenga a nessuno di noi poiché la sopravvivenza è un istinto naturale. Così la mattina appena sveglia mi stropiccio gli occhi, sbuffo un po’ e poi inizio la mia giornata. Di mese in mese le mie priorità cambiano, e devo ancora capire se perché sono indecisa o perché voglio fare troppe cose. Ad esempio, in questo momento la mia priorità è spaccarmi di fisioterapia per muovere il pollice sinistro. UN SOLO POLLICE. Per fare ciò ho dovuto mettere da parte gli studi per sottopormi ad un intervento che fortunatamente è riuscito! 

Adesso questa è diventata la normalità per me. Ma la scorsa settimana, parlando con un ragazzo, mi sono resa conto che per il resto delle persone sarebbe una cosa impensabile. Giustamente. D’altronde nemmeno io avrei pensato ad una cosa del genere anni fa. <<Tu mi stai dicendo che sarai la ragazza più felice del mondo quando riuscirai a fare l’intervento per muovere il tricipite. Incredibile.>>, queste sono state le sue parole. Inizialmente non ho dato peso a quanto ha detto, perché per me questa è la quotidianità.

Ma purtroppo nei giorni scorsi la vita di alcune persone a cui tengo è stata travolta da eventi spiacevoli che hanno disturbato anche la mia quiete. E più che mai ho pensato che a quest’ora anche i miei cari avrebbero potuto piangere una figlia e un’amica. È questo il motivo della mia grinta: la paura di poter perdere tutto quello che mi circonda. Dal sorriso di mia madre, agli abbracci dei miei amici e persino l’odore di lumachina di Albarella del mio fratello peloso Roberto. Anche io vivo momenti di sconforto, la maggior parte di questi partono da vecchi ricordi. Poi prendo in mano il telefono e mi rendo conto che posso ancora comporre il numero dei miei amici che puntualmente risponderanno <<Che c’è sfigata?>> oppure <<Ciao Protetta!>> , e potrò continuare ad accumulare nuovi ricordi.

Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché se da una parte ci sono tante persone che come me cercano di vivere al meglio nonostante alcuni piccoli limiti, ci sono troppe persone che sprecano il loro tempo, consumano ossigeno senza regalare emozioni. C’è chi lo fa lamentandosi, chi divertendosi nel modo sbagliato, chi pensando solo a sè stesso. 

Principalmente mi riferisco alla prima categoria: i petulanti, quelli che sono stanchi della vita. Ci sono padri di famiglia o ragazzi giovani e pieni di vita a cui è stato strappato tutto in un battito di ciglia. Non sono andati a cercarsela, è successo e basta, senza alcuna possibilità di scelta. E questo mi fa tanta rabbia, perché qui ci sono persone che hanno dimenticato cosa significa vivere, e vorrei che mettessero da parte per una sola giornata i pensieri negativi per concentrare le loro forze in un piccolo obbiettivo che possa farli stare meglio. 

Secondo me in questo modo, le persone che ogni giorno ci lasciano senza preavviso continueranno a vivere. E non ci sarà più motivo per i familiari o per gli amici di essere arrabbiati e di ripetere <<Perché proprio lui che aveva ancora tanto da offrire>> . Quanti di noi hanno ripetuto una frase simile perdendo qualcuno di importante? Conosco molte persone che si danno per vinti, ma non è possibile prendere uno per uno tutti quanti e trovare un modo per incoraggiarli e far capire loro che devono dare il massimo per sè stessi e per le persone che non ci sono più. Non ho idea di come si possa fare, però mi basta che tra voi lettori ci sia qualcuno che capisca ciò che intendo, e che se dovesse conoscere qualcuno che non riesce a reagire gli faccia un discorso simile al mio. 

Basta veramente poco per poter uscire dal limbo della depressione. Basta una sola persona che ci sorrida. E ripetersi che niente è perduto, perché qualsiasi cosa è raggiungibile nonostante possano esserci tempi di attesa lunghi e nuovi ostacoli. Il mio ultimo tatuaggio recita “Esistono vite che capitano e vite da capitano“. Non c’è niente di più vero. Io ho deciso di prendere in mano il timone, nonostante le mie mani da tetraplegica mi impediscano una buona presa, e di superare qualsiasi tempesta. Non sono sola, ho una ciurma ricca di buoni amici e una mamma fantastica. Così quando rischierò di andare alla deriva avrò qualcuno che proverà a salvarmi. Nel frattempo spero di incontrare sempre più navi con persone decise a non fermarsi al primo porto. E spero continueranno a fare lo stesso anche quegli amici e parenti che hanno perso una persona che avrebbe regalato loro ancora tante emozioni ma che il destino ha voluto fermare. Dunque non fermatevi voi. In una sola parola : ALL’ARREMBAGGIO!

Dedicato a Massimo e Chiara ❤️
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Accessibilità: Venezia con le gondole – Milano…a casa

Venerdì 11 marzo l’associazione Gondolas4all ha raggiunto un grande obbiettivo che ha fatto acquisire 100 punti alla città di Venezia per quanto riguarda l’abbattimento di barriere architettoniche. È stata infatti installata in laguna una piattaforma mobile che permette a persone in sedia a rotelle di accedere alle gondole, simbolo universale della città più affascinante del mondo. La prima persona ad aver avuto l’onore di accedervi è un bambino di 8 anni, Nicolò, che ho avuto la fortuna di conoscere sulle piste da sci. Per l’occasione è intervenuta anche Striscia la Notizia riprendendo l’avvenimento. Sono riuscita a vedere l’intervento grazie ai video di Internet e……. Il sorriso di Nico spiegava tutto.

  
Ieri sera mentre Striscia la Notizia e altri telegiornali trasmettevano il servizio della pedana per gondole, io mi trovavo a cena con amiche a mangiare tigelle e gnocco fritto. Vi starete chiedendo che pertinenza abbia la mia serata con ciò che ho appena raccontato.

Beh, centra il fatto che ieri sera avrei voluto vivere a Venezia, prendere comodamente la mia gondola e tornare a casa senza farmi venire ulcere per il nervoso. Vivo a Milano e in assenza del mio autista di fiducia (mia mamma) prendo la metro se capita che devo spostarmi in quelle poche zone in cui so per certo che l’ATM riesce a far funzionare tutto. Ieri mi trovavo in zona Arena, la stazione più vicina era quella di Moscova ma sapevo che non era provvista di montascale. L’idea iniziale era quella di raggiungere Porta Garibaldi ma poi iniziò a piovere, così abbiamo optato per andare a Lanza, “È la stazione del Teatro Piccolo, avranno sicuramente il montascale”. No. Figurati se la stazione appena fuori da uno dei teatri meneghini più importanti è accessibile. Così sotto la pioggia io e le mie amiche cerchiamo di raggiungere la stazione di Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco. Vediamo finalmente il cartello con l’indicazione per il montascale, raggiungiamo l’uscita e….. È chiusa. Ma come? Non mi dire che Atm sia così furba da tener chiusa dopo un certo orario PROPRIO L’USCITA DOTATA DI MONTASCALE?! Invece sì. C’era un bel cartello che diceva “Chiuso. Utilizzare l’ingresso lato Piazza Castello”, ovviamente valido solo per persone che sono in grado di deambulare, mentre per chi come me è in carrozzina si attacca al tram. Ah no, solo se sono accessibili e non si bloccano quando attivano la pedana.

 
Stanche, bagnate, e io alquanto incazzata, siamo state obbligate  a raggiungere la stazione di Cadorna. Che grazie al cielo è provvista di ascensore fino ai binari. Così dopo mezz’ora siamo riuscite a raggiungere la metro. Ma non ho potuto fare a meno di pensare alla situazione mezzi pubblici a Milano per quanto riguarda persone con disabilità. Ero convinta sarebbe migliorata la situazione con l’arrivo di Expo, anche per l’abbattimento di barriere architettoniche , ma così non è stato. L’unico miglioramento è stato quello della linea M5, che però dal centro raggiunge solo zone periferiche. Ma almeno ogni stazione è provvista di ascensore. Però mi chiedo com’è possibile che Barcellona sia accessibile dal 1992, per via delle Olimpiadi, e Milano per Expo 2015 non è riuscita nemmeno a fare manutenzione sui tram che dovrebbero essere accessibili?

Prima o poi qualcuno prenderà sul serio il tema abbattimenti architettonici? O se proprio non si vuole prendere in considerazione, riuscirà l’azienda che si occupa dei trasporti a fare più attenzione?

Priscilla_Chairleader 

 

Handicappato o non Handicappato? Il perché non lo ritengo un insulto

Domenica sera avevo il mio solito appuntamento con il programma televisivo Le Iene, su Italia uno. Cercavo di resistere al sonno. Il giorno precedente (30 gennaio) a Roma si era svolto il Family Day, ed ero sicura al 100% che la iena Enrico Lucci avrebbe presenziato! Non potevo perdermi il suo servizio! 

E infatti non mi ha deluso…. O almeno.. A non deludere è stato Gasparri, che ha fatto l’ennesima figuraccia! Nel servizio l’ONOREVOLE alla vista di Lucci esordisce dicendo «Oggi è il Family Day, non è l’Handicappato Day, però ci sei pure te». Io tra me e me ridevo, ma per la figuraccia fatta dal Vicepresidente del Senato, non per l’insulto in sè, fatto a Enrico Lucci.

Con il termine handicappato si vuole indicare una persona con un handicap fisico o mentale, ma da tempo ha assunto significato dispregiativo e viene sostituito dal sostantivo “disabile”. Ma cosa cambia? Il significato rimane lo stesso. Io, in quanto disabile HO UN HANDICAP. Non posso fare la vittima ogni volta che sento utilizzare questo termine. Ci sono livelli più o meno gravi di disabilità. Anche persone a cui mancano solo due dita hanno un handicap. Da quando sono in carrozzina è successo più di una volta che a dei miei amici, scherzando tra loro, scampassero frasi tipo «guidi come un handicappato» e subito si sentivano mortificati per averle pronunciate davanti a me. Ho sempre spiegato loro di non essermi mai sentita offesa in alcun modo. Io stessa con amici in carrozzina scherzo utilizzando questo termine. I miei maestri di sci sono paraplegici, e rivolgendosi a me e ad un altro amico tetraplegico dicono: «Appartenete ad una brutta razza di disabili». Sempre in tono scherzoso ovviamente. Un termine che invece trovo essere molto offensivo è DOWN, perché non generalizza. A volte lo si usa al posto della parola “handicappato”. Down è veramente inappropriato da utilizzare, poiché le persone affette da questa particolare sindrome sono estremamente affettive, buone e intelligenti. Il termine handicappato è generale, non lo vedo carico di odio, per questo non ritengo questa parola una vera e propria offesa.

Dopo la gaffe fatta da Gasparri è partita addirittura una petizione, che chiede all’ex Ministro delle Comunicazioni di porgere le sue scuse ai disabili. Sicuramente in quanto personaggio politico non dovrebbe far uscire dalla bocca certi commenti, soprattutto davanti le telecamere di emittenti televisive. A parer mio, Gasparri dovrebbe chiedere scusa a tutti gli italiani che lo hanno votato, poiché in quanto esperto di Comunicazioni non sembra valere molto. 

Sono una ragazza disabile, e mi sarei sentita offesa se qualcuno avesse dato dell’handicappato a Gasparri accomunandolo a me. 🤗

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Squadra di Rugby in Carrozzina SENZA carrozzine.

Succede a Milano, dove un anno e mezzo fa Nicolò Passilongo, un ragazzo tetraplegico di 29 anni, ha fatto il possibile per poter creare una squadra di Rugby in carrozzina. Dopo aver contattato la ASD Padova Rugby, la squadra più longeva del nord Italia che da anni promuove questo sport, Nicolò ha reclutato altri ragazzi con una lesione midollare come la sua e i suoi zii sono diventati i Coach della squadra.

La Polisportiva Milanese si è occupata di trovare la palestra dove far allenare la squadra e Nicolò ha iniziato a cercare le carrozzine sportive. Una carrozzina da rugby costa €5 mila circa. La squadra non disponendo di grandi cifre si è arrangiata come meglio poteva comprando alcune carrozzine usate su internet e utilizzando 2 carrozzine da basket che avevano già in possesso due atleti. Le carrozzine da basket hanno subito qualche trasformazione: sono stati aggiunti dei copertoni in plastica per proteggere i raggi, e per i corrimano è stata utilizzata una canna dell’acqua da giardino. Tutte le carrozzine che hanno in dotazione non sono su misura. Questo comporta loro un grosso rischio poiché , stando seduti per tutta la durata dell’allenamento, potrebbero segnarsi schiena e glutei. Insomma, questi ragazzi fanno di tutto per poter allenarsi.

Ben 3 carrozzine, invece, sono state prestate dalla squadra di Rugby in carrozzina di Padova, la stessa che aveva aiutato i ragazzi di Milano a capire le regole del gioco a inizio del loro percorso. C’è dunque una forte collaborazione tra le squadre. Adesso la squadra di Padova necessita delle 3 carrozzine che aveva dato in prestito. Gli atleti e le carrozzine di Milano sono 8, e senza queste 3, la squadra rimarrebbe con il “sedere a terra”.

La cosa incredibile e che lascia perplessi è la seguente. Lo sport per persone con disabilità motorie è fondamentale per mantenere il fisico in allenamento, a volte aiuta più della fisioterapia. Eppure i costi per le attrezzature sportive sono esorbitanti, proprio come il resto degli ausili che aiutano a svolgere le attività quotidiane. Questo significa che molte persone oltre ad avere una vita più “complicata”, non può nemmeno svolgere uno sport perché diventerebbe un lusso che non può permettersi.

Comunque, i ragazzi di Milano non si perdono d’animo e sono alla ricerca di una soluzione che possa aiutarli a continuare lo sport che hanno scelto e li appassiona tanto.

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Capodanno 2016: i miei primi giorni di normalità 

Passare il Capodanno all’estero o in una capitale europea sta diventando una consuetudine per i ragazzi di oggi. Fare la valigia, prendere un volo low cost, partire e dare un taglio alla solita routine è qualcosa che mi manca molto, e dopo aver sentito più conversazioni di amici che parlavano di partenze,mi sono detta che non potevo passare ancora la sera del 31 a casa con mia madre.

L’incidente mi ha portato via l’indipendenza, il potermi prendere cura di me stessa. Da allora sono completamente dipendente dall’aiuto di mia madre: nel vestirmi, andare in bagno, lavare i capelli e tante altre cose. Come potevo pensare di partire senza lei?

Fortunatamente ho un’amica che non si è spaventata alla mia improvvisa domanda “Che ne dici fare Capodanno a Barcellona da sole?”. La stessa sera della proposta ne parlai con la mamma, che sorprendentemente accettò poiché conosce bene la mia amica Paul e sa che è in grado di aiutarmi. Così mi attaccai al computer e in 15 minuti comprai i biglietti aerei, mentre il giorno dopo prenotai l’hotel.

La scorsa estate ho trascorso 5 giorni a Barcellona con mia madre e un’altra amica e rimasi sconcertata da quanto fosse semplice per una persona in carrozzina girare per questa città meravigliosa, che allo stesso tempo è moderna ma rimane pur sempre antica. Per questo motivo ho scelto di tornare.

Avendo prenotato il volo di andata il 30 alle 6.30 del mattino, la sveglia era prevista per le 3.30! Dopo una bella dormita in aereo il risveglio è stato epico! Essendo arrivati con 30 minuti di anticipo l’assistenza non poteva ancora venirmi a prendere, così io e la mia Paul siamo rimaste in aereo con il comandante,che per svegliarsi ha deciso di mettere un po’ di musica punk-rock! Altro che caffè. Da lì capii subito che avrei passato dei bei giorni.

Oltre ad aver trovato un tempo fantastico con una temperatura massima di 17ºC, il soggiorno è stato indimenticabile. La mia Paul non si è mai arresa e non mi ha mai fatto notare la sua stanchezza. Nemmeno quando a Parc Güell abbiamo deciso di raggiungere il punto più alto, percorrendo una strada ripida e piena di pietre. L’unico inconveniente è successo la sera del 31 quando per poco Paul non rischiava di affogarmi mentre cercava di lavarmi i capelli dentro il lavandino.

La sera di Capodanno l’abbiamo passata in Plaça d’Epanya insieme ad altre 50 mila persone, con una birra in mano e come sfondo l’emozionante Font Màgica, illuminata per l’occasione da più colori. Da lontano sembrava l’ingresso per il paradiso, e allo scoccare della mezzanotte ho rivisto dopo 3 anni dei fuochi d’artificio, da sempre sul podio delle cose che più mi emozionano. Mi sentivo particolarmente a mio agio. Ero serena, finalmente ero riuscita ad allontanarmi e a fare qualcosa di normale come fanno tutti i ragazzi della mia età. Per me la normalità non è qualcosa che centra con l’aspetto estetico. Normalità per me significa andare a bere qualcosa senza avere il terrore di dover tornare a casa in tempo per andare in bagno, o poter tornare tardi la sera senza svegliare mia mamma per farmi mettere a letto. Non sarei mai riuscita a partire senza la mia Paul, ma per me è pur sempre un gran risultato. 

Questo post lo dedico a tutte quelle persone che sono ancora in ospedale o sono state dimesse da poco. Raggiungere l’indipendenza sarà il percorso più duro. Da parte nostra serve tenacia e costanza, ma c’è bisogno anche di persone che non hanno paura di starci vicino. Senza la fiducia di mia madre, la positività di Paul e la mia voglia di andare avanti non avrei potuto organizzare questi 3 giorni.

Il 2016 voglio costruirlo pezzo dopo pezzo, sperando fili liscio come questi giorni passati a Barcellona che mi hanno aperto gli occhi, mostrandomi quanto ancora io possa fare, con l’aiuto di chi veramente mi ha a cuore.

Priscilla_ChairLeader 

Rugby in Carrozzina Gran Prix – Tappa Milano

Weekend frenetico al campo sportivo G.B. Curioni, dove la AS Rugby Milano ha ospitato la manifestazione di Rugby in carrozzina, organizzata dalla Polisportiva Milanese e voluta dalla Fispes.
Si trattava della prima tappa del Gran Prix Rugby in carrozzina, in cui si sono sfidate 4 squadre miste, con atleti provenienti da Padova, Milano, Roma, e addirittura Barcellona.Questa manifestazione è stata voluta per promuovere lo sport di Rugby in carrozzina che in Italia non è ancora conosciuto in tutto il territorio, e dunque per cercare nuove reclute con la voglia di frequentare questo ambiente e far crescere la disciplina.

Se si osserva per la prima volta una partita di Rugby in carrozzina ci si spaventa. Gli atleti sfrecciano su carrozzine che ricordano dei piccoli carro armati, e durante la fase del “placcaggio”, si assiste ad un vero e proprio incidente, e si pensa che la persona sulla sedia a rotelle possa schizzare fuori dalla palestra per il forte scontro. È sì uno sport dinamico, ma dietro ci sono regole severe. Ad esempio, si può giocare solo se la disabilità colpisce almeno tre arti. Per questo la maggior parte degli atleti sono ragazzi tetraplegici, o poliomieliti; inoltre ad ogni giocatore corrisponde un punteggio, da 0.5 a 3.5 in base alle sue capacità fisiche, e la squadra per giocare deve totalizzare un punteggio di 8.0. La palla con la quale si gioca non è ovale ma rotonda per agevolare la presa e una squadra è composta da quattro giocatori. 

Il Gran Prix Rugby in carrozzina si svolgerà un fine settimana al mese, e toccherà diverse città. 

La prossima tappa è quella di Sacile, in provincia di Pordenone, che ospiterà la manifestazione il prossimo 28-29 Novembre.

Se si pensa al rugby immaginiamo ragazzi-armadi che corrono per il campo, scontrandosi e alzando zolle di terreno. Ma, a parer mio, il Rugby in carrozzina è ancora più tosto, perché ci vogliono veramente le palle a non aver il controllo della maggior parte del corpo e fiondarsi a tutta velocità per fermare l’avversario, rischiando di cadere.

Però anche questo è il bello dello sport, e inoltre aiuta da sempre l’integrazione di un individuo e stimola la voglia di raggiungere un obbiettivo con tutte le forze che si hanno in corpo.
 

Consiglio dunque, a chi ha i requisiti per fare questo sport, di prenderlo seriamente in considerazione!  

Si attendono nuovi atleti
🏉

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“La notte i reietti fanno brutto”, e così è stato!

Le emozioni che si provano ai concerti sono sempre uniche. Se, in più, si tratta di uno dei tuoi artisti preferiti le sensazioni sono ancora più travolgenti. Il mix di euforia e felicità si fanno sentire attraverso le voci di tutti i presenti e non importa se si tornerà a casa con qualche botta a causa della troppa ressa o di un pogo troppo violento. L’importante è essere presenti!

Ieri sera ho partecipato alla chiusura de Il Bello D’Esser Brutti Tour, di J-Ax. E ammetto di esser stata preoccupata all’inizio, perché i suoi concerti per me sono sempre stati il top prima dell’incidente, e avevo paura di macchiare dei bei ricordi. Essendo sempre stata abituata a saltare e cantare in mezzo a tutti i partecipanti, non me la sentivo di essere esiliata su un palchetto lontano da quello dell’esibizione. Così avevo già avvisato l’amico con cui sono andata, che avrei fatto di tutto per andare davanti il mio idolo.

Ma anche questa volta Ax e gli organizzatori del suo spettacolo hanno saputo sbalordirmi! Le persone in sedia a rotelle hanno avuto la fortuna di assistere al concerto SOTTO IL PALCO, davanti a tutti. Mi sono sentita messa al primo posto, e questo non capita tutti i giorni a persone con disabilità in Italia. Invece ho avuto la possibilità di cantare tutte le mie canzoni del cuore, tra l’altro la prima in scaletta è stata “Spirale Ovale”, che è per antonomasia la canzone che fa scatenare maschi e femmine ai suoi concerti. Quindi è proprio partito col botto!

Ho potuto così sentirmi parte di ogni performance, proprio com’è successo ad ogni concerto a cui ho partecipato. Spero proprio di poter vivere così ogni prossimo concerto..

E magari la prossima volta che sentirò J-Ax, cercherò di non essere l’unica a non guardare in camera per il selfie!

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….VIVA CICCIA, BRUFOLI E CANOTTE PER LA PALESTRA!!

Innanzitutto grazie a tutti per le visite di ieri su questo Blog!! In molti mi avete scritto privatamente per fare i complimenti, e molti altri mi hanno confidato di essersi sentiti “in colpa”, perché leggendo il mio post hanno pensato che forse i problemi non sono quelli di non saper quale sia il locale meneghino più In dove passare la serata, o quale canottiera si addice di più per andare nella palestra sotto casa.

Così ho deciso di parlare di questo nel 2º post, non di quale siano i migliori locali di Milano, nè di quale maglia mettere per andare in palestra, ma del fatto che cortesemente alcuni di voi hanno pensato che (forse) questi non sono problemi in confronto a quelli che posso avere io…..

E perché no?!

Vi dirò di più…. È vero, io ho difficoltà ad afferrare oggetti, a scendere dal letto, vestirmi e quant’altro. Ma per sentirmi uguale a tutti devo prima avere i problemi di tutti. Li prenderò sicuramente più alla leggera ma cosa credete che pensi se la mattina mi sveglio e trovo un cratere bianco sul mento?!?! 👿🔫

Dunque spero di aver tranquillizzato gli animi di chi magari ha pensato di essere una brutta persona perché non ha i miei problemi (meglio così, vi assicuro). Allora viva ciccia,brufoli e canotte da palestra. Spero, inoltre, che i miei prossimi post vi facciano piacere, ma non fatevi seghe mentale se dovessi scrivere qualcosa che vi può far emozionare!!

Vi ringrazio ancora molto, baci

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