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Prendere il treno da sola: FATTO

Scrivo mentre sono sul treno di ritorno che da Torino mi riporta a casa. Sarà l’ammirare i campi di riso al tramonto tra Vercelli e Novara che mi da ispirazione, o l’aver provato quella sensazione che solo le PRIME VOLTE ti sanno dare. Niente di trasgressivo, o di romantico. Ho semplicemente viaggiato in treno senza l’accompagnamento di alcuna persona.

Per 2 anni ho cercato di organizzarmi per andare a Verona, ma avveniva sempre qualcosa che mi impediva di partire. E in realtà persino l’organizzazione verso la Città Magica è saltata ben 2 volte. La prima volta scoppiò la pandemia COVID,la seconda, le previsioni meteorologiche davano pioggia. Non poteva vincere la magia nera della città contro la mia testardaggine.

Così, una settimana prima della mia gita fuori porta chiamai il numero della SalaBlu per l’assistenza di Trenitalia e comprai i biglietti. A causa della non accessibilità di tutte le stazioni e di ogni treno, è obbligatorio prenotare il viaggio con largo anticipo. Una volta aver ricevuto l’email di conferma avvisai la mia amica di Torino dicendole di pensare lei a che tour farmi fare. Avendo un solo giorno non era necessario stancarsi troppo. Volevo solo godermi l’aria di libertà che vive la maggior parte delle persone senza disabilità. E così è stato.

A molti di voi risulterà strano, ma vedere le porte del treno chiudersi mentre il signore dell’assistenza mi accompagnava alla mia postazione è stato emozionante! Godo di poche cose e sensazioni. La mia routine non cambia da anni. Per questo ho sentito qualcosa di forte al vedere il treno allontanarsi dalla stazione. Il viaggio di andata è durato solamente 1 ora. La carrozza era a mia completa disposizione tant’è che mi hanno dato l’opportunità di non utilizzare la mascherina. All’arrivo sono stata accolta dalla mia amica Maria pronta a documentare tutto con il suo telefono, e da un fresco venticello che mi faceva appena venire la pelle d’oca; il che l’ho preferito, non sono sicura sarei riuscita a sopravvivere al caldo che si vive in città. Ho vissuto la giornata in completa armonia e senza pensieri, a parte quando sono passata per Parco del Valentino, dove ho ricordato quelle volte in cui andavo a ballare allo Chalet, una discoteca che si trovava all’interno del parco, e luogo in cui ho passato il mio ultimo Halloween prima dell’incidente. Non è stato però un pensiero negativo, non ho provato tristezza.

Così le ore sono trascorse velocemente, tra chiacchiere e selfie. Quando si è fatta l’ora di tornare in stazione avrei voluto fermarmi ancora un po’, ma non era possibile. Come Cenerentola avevo un orario da rispettare per tornare alla realtà. dove ho poca autonomia. Dunque sono andata in bagno, in quanto una volta salita sul treno non avrei più potuto fare nulla essendo sola. In seguito ho raggiunto la Sala Blu della stazione dove mi hanno accompagnato per l’ultima volta al binario del treno destinazione Milano Centrale. Viaggiare su un regionale veloce è più impegnativo. Lo spazio per la sedia a rotelle in realtà non c’è, devo stare incastrata tra 2 sedili, uno dietro e uno davanti. Avendo una signora a 1 solo metro di distanza sono obbliga a tenere la mascherina che purtroppo non mi da la possibilità di respirare bene. Per questo inizio a sentire la stanchezza. Ma allo stesso tempo sto rientrando a casa con la consapevolezza che è andato tutto bene e che sicuramente tornerò a prendere il treno sola, e a scrivere per una prossima avventura.

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Disabili cantano chiedendo di stare a casa per combattere il Covid-19

L’associazione Crossabili capitanata da Mattia Cattapan ha creato un video dove ragazzi disabili chiedono, cantando e ballando, di stare a casa e di non rompere più.

Video di Crossabili by Mattia Cattapan

Sì, questa storia delle persone che si lamentano dell’impossibilità di uscire di casa mi ha fatto alzare le sopracciglia dal mio primo giorno di quarantena. E guardare questo video mi ha fatto venire voglia di dire, o meglio scrivere, qualche parola, visto che io ho passato 11 mesi di ricovero e sono uscita dall’ospedale per poche ore solo 4 volte in quell’arco di tempo. Inoltre mi viene da pensare:

Se siete così nervosi e annoiati per 3 settimane di quarantena, cosa pensereste se foste tra i 4.360.000 di persone con mobilità ridotta che in Italia limita le proprie uscite per le barriere architettoniche?

Sono sicurissima che nessuno più si lamenterebbe, proprio come faccio io. Sono vicina, e penso, a tutte quelle persone che hanno perdite nei loro guadagni e problemi con il loro lavoro, ma tutti gli altri motivi di lamentele senza senza senso proprio non li capisco. Volete uscire? Bene, andate a fare del volontariato portando la spesa agli anziani che non hanno parenti o, seguite tutte le altre attività. Potreste scoprire che fare del bene al posto di usare il telefono H24 vi piace. E una volta passata questa difficile pagina della storia che riguarda il mondo intero potreste continuare ad occuparvi degli altri nel tempo libero. Non è poi così male. Da molte soddisfazioni. E se proprio l’idea non vi piace, restate a casa ugualmente. Per voi e per i tuoi cari.

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A San Siro per ricordare Francesco Gallone

Il 30 gennaio 2018, esattamente un anno fa il mio telefono squillò. Era un amico che sentivo regolarmente ma che non mi aveva mai chiamato. Capii subito che non aveva niente di piacevole da dirmi e rispondendo confermò i miei pensieri: ” Franci non ce l’ha fatta”. Queste poche parole da giorni mi ripassano per la mente poichè si avvicinava l’anniversario della morte di Franci.

Francesco Gallone era un ragazzo che ho conosciuto durante il mio ricovero in unità spinale in seguito alla meningite. Io non avevo ancora il permesso di riprendere la fisioterapia e così passavo il tempo facendo il giro delle camere dai pazienti allettati.

Un giorno di gennaio stavo distribuendo frittelle di carnevale in reparto e mi fermò un signore seduto sulle poltrone in fondo ai corridoi. Era il caregiver di Francesco e mi chiese se mi andava di andare a presentarmi. Franci non era in ottima forma e in stanza notai che non c’erano letti di altri pazienti quindi mi misi subito a fargli un interrogatorio che ci fece scoprire di studiare nella stessa università e di avere entrambi un blog che si occupa di disabilità. Da quel giorno iniziai ad andare sempre a trovarlo prima di cena, ma se nel weekend c’era l’Inter sapevo che gli piaceva guardarla con la sua numerosa famiglia e io andavo quando non c’era alcun neroazzurro. Non avevamo fretta; eravamo gli unici due pazienti a non poter uscire nel fine settimana. I mesi passarono io venni dimessa, ma con i continui controlli, una volta a settimana riuscivo a fare un piccolo saluto, e ogni volta speravo di sentirmi dire “Pri, mi dimettono!” Così avremmo potuto iniziare a scrivere insieme come mi propose mesi precedenti . Quando finalmente uscì io ero già in vacanza ma poche settimane dopo organizzammo una cena per festeggiare il suo compleanno. Niente da fare, tornarono le febbri alte. Io partii nuovamente e il primo settembre trovai Franci ancora a Niguarda. Nei mesi successivi la sua salute peggiorò sempre di più.

La leucemia non gli fece vincere quella battaglia. Lo portò via dai familiari , dai tanti amici e da tutte le sue passioni. Ricordo che al funerale pensai: ” Non ho mai visto tanta gente in chiesa a Milano”. Si capiva che se n’era andata una persona più che speciale.

La stessa gente che riempì la Chiesa di Sant’Angelo oggi, a un anno dalla morte di Francesco si è ritrovata allo Stadio San Siro, casa dell’Inter e rifugio di Franci. Il Comune di Milano gli ha dedicato una targa per le battaglie a favore dei diritti di persone con disabilità. Voleva abbattere le barriere architettoniche che impedivano a lui e ad altre persone in sedia a rotelle di vedere le partite come qualsiasi tifoso.

Dentro quel corpo piccolo c’era un uomo con una tenacia inverosimile. E dopo richieste su richieste ad assessori, presidenti di associazioni e articoli di giornali, piuttosto pesanti, le squadre di Milan e Inter hanno finanziato l’alzamento della pedana per migliorare la visibilità in campo.

Alla cerimonia sono intervenuti: l’Assessore al Turismo, Sport e qualità di vita, Roberta Guaineri, Marco Rasconi, grande amico di Francesco il quale gli fece scoprire la squadra di hockey e Presidente Ledha , un consigliere della società MI Stadio che si occupa della gestione di San siro, e infine le parole più commoventi della cugina Anna. ” oggi non ci siamo ritrovati a ricordare qualcosa di passato ma qualcosa che continuerà ad essere presente anche nel futuro”.

Francesco ha così dimostrato che la perseveranza ripaga. Ha voce a chi non aveva la sua grinta e il Comune di Milano gliel’ha riconosciuto con i fatti.

Corsi di vela insieme a Sailability: per un Lago accessibile

Per persone con disabilità, anche organizzare una sola giornata fuori porta è più complicato. Sempre a causa dell’accessibilità da ricercare.

Così, per scappare dal caldo torrido di città, Domenica 4 agosto, sono andata sul sicuro. ho partecipato all’open Day di Vela accessibile, organizzato da Sailability Onlus , a Desenzano del Garda. L’associazione è nata nel 2005, ma dal 2016 è ospite, proprio a Desenzano, della Lega Navale Italiana, che offre loro spazio per le barche e volontari con le migliori certificazioni per navigare in sicurezza.

Sailability propone corsi in barca a vela per persone con disabilità motoria e una persona di loro fiducia, al prezzo di uno. Il corso è diviso in 4 mezze giornate dove si imparerà la teoria e la tecnica per poter prendere il brevetto.

Questa giornata è iniziata con un po’ di aria fresca che sembrava muovere fin troppo le acque. Erano passate da poco le 9 e fortunatamente ero la prima in lista per navigare.

Il lido è attrezzato di un sollevatore per far accedere le persone in sedia a rotelle sulle barche. Ovviamente non c’è posto per la carrozzina, così vengono aggiunti dei cuscini per evitare problemi nella seduta.

E per chi non ha un ottimo controllo del tronco e rischia di perdere l’equilibrio, viene legato con una cintura. Il trimarano a cui ho avuto accesso lo guidavano Gianni ed Elena, marito e moglie, soci della lega, prima ancora dell’incidente che causò una lesione midollare a lui.

Se non mi avessero raccontato quello che gli era successo, avrei continuato a navigare pensando di essere in barca con una persona senza alcun handicap. Infatti, mentre timonavo, capitava di sentire la corrente talmente forte che mi faceva perdere il timone di mano, ma Gianni riusciva a saltare prendendolo, con una agilità impressionante. Come se avesse avuto ancora le gambe funzionanti. Durante l’ora di navigazione non c’è stato troppo tempo per le chiacchiere. Hanno cercato di istruirmi al meglio, ma essendo la prima volta ero troppo concentrata a non perdere il timone per mantenere la poppa verso i punti fermi che loro mi indicavano. Innanzitutto il Castello di Sirmione, e con la strambata (ovvero la manovra per passare da un lato all’altro) si osservava il castello di Desenzano. Dopo un’ora era il momento di tornare al molo. Il forte vento se n’era andato lasciando spazio al sole che iniziò ad asciugarmi dagli schizzi d’acqua che le onde mi avevano regalato.

Altri ragazzi con disabilità erano saliti nelle barche, infatti Sailability ne possiede ben 7. Grazie agli sponsor sono riusciti ad acquistare un joystick che permette a chi ha una forza ridotta alle mani di poter guidare la vela completamente in autonomia, poiché il joystick permette di controllare sia il timone che la randa e il fiocco.

Domenica non è stato possibile utilizzarlo poiché aveva bisogno di manodopera. Ma io sono rimasta doppiamente soddisfatta nel provare a toccare con mano il timone e sentire la fatica che mettevo per combattere contro le correnti.

Essendo un open- Day, il pranzo è stato offerto dagli sponsor, che nonostante i 33°C hanno cucinato hamburger e patatine per tutti. Dopodiché, chi aveva già navigato poteva godersi il sole e se avesse avuto voglia, erano disponibili 4 Job (sedie a rotelle) per entrare in acqua.

Una giornata in compagnia di Sailability Onlus lo consiglio vivamente a tutti. Non si sono fatti sfuggire nulla Nel organizzare questo lido. Oltre al sollevatore per entrare nelle barche, le Job, per fare un tuffo, ho trovato per la prima volta un bagno accessibile al 100%, in quanto erano presenti anche dei lettini bassi su cui potersi cambiare. E questo dettaglio mi ha veramente impressionata perché non ho mai trovato da nessun’altra parte, a parte la piscina dell’ospedale!!

Dunque, consiglio a tutti di andare a provare i corsi, o semplicemente un tour al lago insieme a loro.

Domenica 1 settembre, faranno un altro Open day, identico a quello che vi ho appena descritto.

Priscilla Chairleader

A Milano i miei concittadini che creano le barriere

Cari Concittadini milanesi.

Io sto vedendo La città cambiare. Leggete questo post e ditemi: voi Milanesi volete dare il buon esempio e cambiare insieme a Milano?

5 anni fa dovetti trasferirmi per via di un incidente che mi ha paralizzato e mi costringe a vivere in sedia a rotelle. Oltre all’esigenza di una soluzione abitativa accessibile avevo quella di trovarne una non lontana da mezzi pubblici e servizi.

La mia soluzione mi ha portato in una zona strategica: esattamente sotto casa ho la fermata della metropolitana Piola e quella della Linea 39. Un vero lusso per chi vive in sedia a rotelle come me. Un lusso di cui non ho quasi mai usufruito se non per urgenze. Perché, per quanto riguarda la fermata della M2, dalla chiamata dell’agente per l’attivazione del montascale all’arrivo presso i binari per prendere il treno impiegavo dai 18 ai 22 minuti. Troppo il tempo per scoprire, a volte, che la fermata verso cui dovevo dirigermi aveva problemi, ed ero quindi costretta a cambiare piano.

Avrei potuto approfittare della 39 potendo arrivare così in Piazzale Loreto. Già! sarebbe stata una seconda scelta perfetta se non fosse che manca la segnaletica a terra e nessuno si ricorda che è vietata la sosta da 15 metri prima a 15 metri dopo il cartello di fermata del bus. Così l’intera area riservata viene occupata da auto che non permettono al mezzo pubblico di arrivare al marciapiede e aprire la rampa che dà la possibilità alle carrozzine di salire autonomamente.

Per 5 anni non ho mai detto nulla, rassegnata e con la scusa “ ci pensa mia mamma a portarmi in macchina così facciamo in fretta.”

Adesso però vedo la città cambiare. Cambia l’architettura, l’urbanistica, il modo di vivere. E il modo di pensare? Il mio è sicuramente cambiato. Voglio vivere in una città all’avanguardia ma soprattutto con cittadini all’avanguardia.

È questo il vero problema che qualche giorno fa mi ha lasciato senza parole.

Come dicevo, la metropolitana la utilizzavo solo in caso di grossa necessità. Ma dopo un anno di continui guasti al montascale della fermata Piola, a settembre ATM ha deciso di non farlo tornare in funzione dicendomi che sono in attesa di una gara d’appalto, e che solo dopo la conclusione di questa si deciderà il destino di quel montascale che rendeva la fermata accessibile ( tengo a sottolineare che essa porta al Politecnico di Milano e a due ospedali).

Ho così segnalato l’urgenza di mettere le strisce alla fermata della linea 39 che a me avrebbe sicuramente risolto il problema. A un mese dal mio appello, il 6 dicembre uscendo dal portone del mio condominio, ho trovato le strisce gialle luccicanti che ancora sprigionavano il profumo di vernice. Ho sorriso tutta mattina mentre pensavo che non avrei più rischiato di essere investita dovendo farmi posizionare in mezzo alla strada, per farmi vedere dai conducenti e chiedere la rampa a causa di tutte le auto parcheggiate sulla fermata.

La sera stessa mentre io e mia madre rientravamo, veniamo fermate da una nostra condome che con tono indignato esclama: “ Ma avete visto cosa hanno fatto? In tanti si sono lamentati! Queste strisce sono troppo lunghe!! Ho scritto immediatamente al Comune ma mi ha detto che sono le prime strisce segnaletiche europee in vigore a Milano.”

Ho prontamente risposto che ero stata io a farne richiesta perché non potevo accedere al bus. Ovviamente non ho sentito controbattere. Però è stato un dispiacere enorme sapere che più persone si sono lamentate perché preferirebbero continuare ad approfittare della mancanza di vigilanza per parcheggiare H24 sulle strisce senza la preoccupazione della rimozione, e che non abbiano lontanamente provato a chiedersi come mai dopo tanti anni siano comparse.

Ho quindi avuto la dimostrazione di quanto i miei concittadini predichino bene e razzolino male. Vogliamo essere europeisti ma la segnaletica non va bene, preferiamo non averla proprio. Parcheggiamo nel posto disabili mettendo le quattro frecce e se arriva chi veramente deve usufruire del parcheggio diciamo “Scusi, ha ragione! Un attimo”.

Per tutto questo sono convinta che sia ecessaria la sensibilizzazione e una corretta educazione a partire dalle nuove generazioni. Per essere sicuri che in futuro non debbano essere solo le persone con disabilità ad insegnare cosa è necessario fare per migliorare una qualità di vita che sia giusta per tutti. E Non solo per chi vive con handicap.

Priscilla Chairleader

Un anno in 2 ore

26 novembre 2016. Dopo una notte trascorsa in un letto circondata da medici e infermieri che tentavano di tenermi immobile a causa di continue convulsioni arrivò l’esito del liquor che confermò la meningite. Nel frattempo una sovrainfezione causò la polmonite e quando i medici presero la decisione di intubarmi ormai non rispondevo più ed entrai in coma.

Mia madre era confusa, agitata. Le dissero:”Signora ha capito che stiamo parlando di meningite? Gli organi potrebbero non resistere più di 2 ore“.

Il resto l’ho già raccontato in un altro post. Dopo 10 giorni di coma il mio corpo ha risposto che non era ancora ora di lasciare tutto.

Così posso dire che quelle 2 ore stimate in cui avrei potuto lasciare questo mondo ad oggi si sono trasformate in un anno.

Un anno particolare.

In cui ho nuovamente passato mesi in unità spinale, ma al posto di essere una classica paziente come nel 2013 mi sono trasformata nella figura di motivatrice per tutti quei pazienti che invece vivevano per la prima volta una situazione dura come quella di trovarsi in un ospedale e doversi abituare alla disabilità.

Volevo raccontare a tutti che il periodo di ricovero è passeggero e una volta a casa è ancora possibile provare emozioni forti. Per questo ho mostrato ad una trentina di persone i video di quando scio e di quando mi butto con il paracadute, per far capire loro che i momenti felici sarebbero tornati, anche se in maniera diversa. Quei mesi mi sono serviti ad entrare nel cuore di persone che adesso posso considerare amici. E tutt’ora mi chiamano per sapere come sto o avere consigli.

Ma una volta dimessa ho iniziato a pensare più a me stessa . Non potevo sempre pensare agli altri.

Così per il mio bene presi la decisione di chiudere i rapporti con chi non era positivo per me, mentre riaccolsi una persona che per anni ho pensato di non poter più avere nella mia vita ristabilendo un rapporto di amicizia.

A rendere l’atmosfera più tranquilla quest’anno in famiglia si è aggiunta una persona che sta rendendo tutto più positivo.

Ed è entrato in casa un nuovo cane. Obelix.

Nonostante queste note positive sentivo di avere ancora troppi pensieri. Non riuscivo a concentrarmi a pieno nello studio.

Avevo bisogno di una pausa. Volevo respirare aria nuova. E decisi di respirare per una settimana l’aria del Salento.

Avevo progettato un viaggio in Puglia già nel 2012 ed ero emozionantissima di andare per il mio compleanno con mia madre e la mia migliore amica in un luogo che avevo sognato di visitare tanti anni fa.. e così portai a termine questo sogno.

La settimana in Salento me la sono goduta alla grande. Scottando la pelle e riempiendo lo stomaco.

Ancora più emozionante è stato il viaggio in Indonesia. Quello si era un sogno inimmaginabile.

Le settimane più belle e tranquille degli ultimi 2 anni.

Dove riuscii veramente a non avere pensieri o timori. Fu tutto perfetto. Ogni ora la ricorderò sempre.

L’isola di Bali mi è entrata nel cuore e mi sono promessa che in futuro tornerò perché 15 giorni sono stati pochi per visitarla interamente.

Il viaggio di andata è durato 30 ore. Niente in confronto alle 2 ore che mi avevano dato 10 mesi prima.

Mi sorprende sempre vedere come possono cambiare le cose da un momento all’altro.

Sono così grata di aver compiuto questo viaggio. Anche se non so bene a chi spetta questa gratitudine.

Quel viaggio è stato il primo a colpirmi così tanto. Non ho nemmeno bisogno di guardare le foto del viaggio per ricordare i magnifici tramonti nelle città dei surfisti, gli abbracci delle scimmie o i sorrisi delle persone. Quel paese mi ha colpito in pieno petto.. forse perché non avrei dovuto esserci?!

Ma dato che c’ero ho deciso di aggiungere uno sport alla lista delle cose che non avevo mai fatto. Fare snorkeling.

Dopo l’incidente ero stata in mare con amici solo dentro la mia ciambella galleggiante. Ma mia mamma e la mia amica volevano a tutti i costi vedermi nuotare con loro. In quei giorni ero talmente positiva che non potevo rinunciare all’occasione di buttarmi nelle acque del Mare di Bali così vicine all’Australia. Non ho detto una parola nemmeno quando una corrente gelida ha lanciato un branco di meduse su di me. Non voglio fare il fenomeno, ammetto di essermi spaventata quando ho visto il pescespada a 2 metri da me. Fortunatamente sia lui che due mante hanno deciso di evitarmi.

Ancora adesso ripensando alla vacanza penso anche al resto che di meraviglioso è avvenuto questo anno.

La colonna sonora che ho in testa è Something just like this dei Coldplay che ho avuto il piacere di sentire dal vivo al concerto di luglio.

Gli altri ricordi che si montano su questa canzone sono:

Aver fatto per la prima volta la testimone di nozze per un’amica importantissima a cui devo molto,

tenere in braccio la figlia neonata di una delle mie migliori amiche.

Vedere mio fratello cresciuto e più responsabile.

Tutto questo è ciò che mi è accaduto in un anno che avrebbe potuto rimanere solamente uno dei tanti viaggi mentali che mi sono fatta durante il coma.

Basta dunque saper aspettare. E se nulla viene da sè a quel punto spetta te pensarci.

Priscilla Chairleader

La mia prima volta a letto 

Se pensavate che volessi improvvisarmi Sex- Blogger non ci siete!Vi racconto sì della mia prima volta a letto, ma della prima volta che vado a letto sola senza alcun aiuto. 

Per essere più precisa devo spiegarvi che da più di 4 anni per andare a letto ho bisogno di una persona che mi dia una mano. Mi mancano i tricipiti per riuscire a sollevare il sedere e un buon equilibrio del tronco per fare un passaggio dalla carrozzina al letto come si deve e in sicurezza. Con la mia fisioterapista è anni che studiamo le tecniche per riuscire a farcela ma mi è sempre stata vicina a controllare che la carrozzina non si spostasse facendomi cadere sul pavimento. Lo stesso compito lo ripete mia madre la sera.

Ieri pomeriggio ero sola in casa. Il caffè non stava facendo effetto. Stavo per addormentarmi sul tablet mentre cercavo di studiare. Ho iniziato a sbuffare. Un tempo mi sarei alzata, avrei fumato una sigaretta e mi sarei sdraiata una mezz’oretta sul letto giusto per riprendermi. Poi mi sarei alzata e dopo un altro caffè avrei ripreso a studiare.

Adesso é tutto più complicato. A letto non riesco ad andare e mia madre si dimentica sempre di lasciare le tazzine del caffè in una posizione dove riesco a prenderle senza fatica  per farmi il Nespresso.

Dai. c’è di buono che non fumo più.

Così dopo aver guardato il divano di fianco a me mi sono spostata nella mia camera da letto. Ho abbassato il letto con il telecomando e ho riflettuto un attimo:

“Dunque. Le finestre sono aperte. E sento che al piano terra c’è Anu, il portinaio, così se mi dovesse succedere qualcosa riesce a sentirmi urlare “. Voglio provarci veramente? Sì, sono troppo stanca. Ho bisogno di sdraiarmi, anche per terra. Il letto l’ho abbassato tutto. Secondo la tecnica studiata devo posizionarmi a fianco, mettere prima il freno destro (se ho bisogno di ruotare la carrozzina a destra) e poi il freno sinistro. Ora la mia sedia è bloccata. Con le braccia dietro la schiena faccio scivolare il sedere sul cuscino in avanti come se volessi sdraiarmi. I piedi sono fermi sulla pedana e mi auguro rimangano lì.

Adesso c’è la parte più complessa da svolgere senza nessuno che mi tenga d’occhio. Metto dritto il busto e poggio le mani sui corrimano delle ruote. Faccio forza, ruoto le spalle a sinistra e mentre mi sollevo il più possibile cerco di spostare il sedere a destra. Una persona paraplegica a quest’ora si sarebbe già sdraiata. Io ho solamente spostato il fondoschiena di quasi 10 cm. Adesso ripeto il tutto poggiando la mano destra sul materasso. Ormai una chiappa è quasi sul letto. Tento di sollevarmi ancora. Avvicino la mano sinistra e faccio scivolare i fianchi il più indietro possibile.

Perfetto il sedere è nel letto. Mancano le gambe. 

Guardo la stanza e mi sembra impossibile. Sono a metà percorso. Sollevo la gamba destra. Perché sono cresciuta fino 1 metro e 75cm? È incredibile quanto possa pesare una gamba. Dai tiriamo su anche la sinistra che sono già stanca.

No. Devo capire bene come potermi spostare al centro del letto. Ma non ho spazio sufficiente per appoggiare la mano sinistra al fianco e fare un piccolo spostamento. Sarebbe stato l’unico modo per poter sistemare l’altra gamba ed essere comoda.

Però di spazio non ne ho e penso mi sia andata benissimo per essere la prima volta che vado a letto sola.

Così prendo l’ultima gamba, la sollevo un po’ e mi rotolo sul fianco. Perfetto! 

Adesso non mi tiro su. Sono tutta storta e rischio di finire sotto il letto se dovessi provarci.

Ci vorrà più di un’ora prima che arrivi mia madre. L’importante è essere sdraiata,

L’importante è non essere caduta,

L’importante è avercela fatta,

L’importante è avercela fatta DA SOLA .

Sono così contenta che non ho più bisogno di dormire. Vorrei chiamare qualcuno per raccontargli tutto ma ho lasciato il telefono in sala.

Se ce l’ho fatta una volta potrò farlo una seconda, e finalmente potrò aggiungere una cosa in

 più alla lista di ciò che so fare da sola:

  • Lavare viso e denti
  • Spruzzare il profumo
  • Togliere il giubbotto 
  • Aprire una sottiletta Kraft

Cavolo che lista. Che impegni. Non è incoraggiante leggere la lista. Ho 23 anni e so fare solo queste cose senza alcun aiuto. Sarebbe veramente importante poter andare a letto autonomamente.

Non posso far altro che cercare di mantenere  questa adrenalina da “ prima volta“. Perché quando l’adrenalina passa e la seconda volta va male si perde la voglia di continuare, di ritentare. Cominci ad essere certo che non ne valga la pena. Troppa fatica, troppi impegni per risultati così piccoli.

O dio, mia mamma tornerà a casa e troverà la carrozzina vuota. Le prenderà un colpo e inizierà a preoccuparsi. No, non posso proprio addormentarmi. Quando torna dovrò avvisarla di stare tranquilla.

Eppure riuscire ad andare a letto è qualcosa di straordinario per me. Un vero sogno.  Da aggiungere ai miei prossimi progetti. 

Perfetto. Mia madre è tornata ed è contenta. Mi fa una foto per farmi vedere quanto sono storta. Mi abbraccia e mi raddrizza.

Bene. Adesso posso dormire.

Riposare e sognare. 

Sognare l’autonomia.

Amicizia è la risposta. “Tutti per Chiara “

Di una cosa sono veramente grata e mi reputo fortunata. Dell’amicizia che ho con alcune persone che mi sono sempre state accanto ancora prima dell’incidente.
Due weekend fa però ho conosciuto una persona che è stata molto più fortunata di me se parliamo di amicizia.
Chiara Gemmo è una ragazza che il 30 luglio 2016 a 26 anni ha perso la vita in un incidente stradale durante un’escursione in Bolivia. Una studentessa dell’Università di Ferrara trasferitasi a NewYork per il dottorato di ricerca dove si occupava di studi per malattie rare del sangue. Nello specifico i suoi studi si concentravano sulla talassemia.
Sono venuta a conoscenza della storia di Chiara in quanto è la migliore amica di una persona per me veramente importante, un amico di cui non posso fare meno.
Non parlo di lei al passato poiché durante questo weekend mi sono resa conto di quanto Chiara continui a vivere grazie all’impegno che hanno preso la famiglia e gli amici per ricordarla.
Nella provincia di Padova, a Montagnana, città natale di Chiara e del mio carissimo amico l’intera comunità si è impegnata e unita per organizzare un evento in sua memoria a un anno dal tragico destino che l’ha allontanata fisicamente dai suoi cari e da una vita insieme a loro.

L’evento è stato chiamato “Calici sotto le mura” Un intero weekend iniziato venerdì 28 e terminato domenica 30 luglio in cui era possibile passare dall’orario aperitivo e continuare la serata attorno le mura medievali di Montagnana per prendere da bere scegliendo tra birra e vino. Facendosi aiutare nella decisione dai proprietari delle aziende che hanno dato la loro disponibilità proponendo i loro prodotti in piccole casette di legno poste sotto le mura. Oltre ai proprietari a lavorare dietro le casette c’erano tutti gli amici di Chiara, che da un’idea nata da Antonio, suo padre, hanno fondato l’Associazione Tutti per Chiara, con la quale raccoglieranno fondi destinati alla ricerca delle malattie del sangue. Continueranno così il lavoro iniziato da Chiara.
Io sono arrivata sabato 29. In ritardo, facendo prendere una multa per ingresso in ZTL alla mia amica, per fare una sorpresa al Presidente onorario dell’associazione. Appena arrivata sono andata a pagare e la ragazza della cassa mi ha chiesto “sei Priscilla, l’amica di Thomas?”, ho risposto di sì tutta contenta perché sapevo della pubblicità che lui mi ha sempre fatto e non vedevo l’ora fargli vedere che ero presente anche io per lui e per l’incredibile lavoro che stava svolgendo con tutti gli altri ragazzi del team Tutti per Chiara.
Con una scusa una mia amica è riuscita ad avvicinare il “presidente” verso di me. E come previsto c’è stato l’abbraccio e la commozione di entrambi. Era proprio quello che volevo.
È stata una bella serata, lui ha continuato a lavorare e io sono stata con vecchi amici a bere e ogni tanto qualcuno mi fermava nuovamente per chiedermi “sei Priscilla l’amica di Thomas?”. Vedevo moltissima gente presente: compagnie di amici e famiglie. La serata si stava svolgendo al meglio quando poco dopo mezzanotte ha iniziato a diluviare. E così il giorno ha cambiato data. 30 luglio 2017. Un anno dalla scomparsa di Chiara.
Forse è stata lei a decidere di buttare i gavettoni per far capire che anche la seconda serata era stata un successo e voleva brindare dietro le casette coi suoi amici che stavano facendo così tanto per lei e quello era un modo per ringraziare tutti. Infatti quell’improvvisa bomba d’acqua ha portato l’intero team Tutti per Chiara dietro una casetta a brindare tra di loro e ad unirsi in un grande abbraccio. L’abbraccio è l’unico atto fisico che aiuta a sostenere più persone.
Io ho dovuto tornare in hotel prima del previsto e la forte pioggia non mi ha dato la possibilità di salutare il mio amico. Così la mattina, dopo qualche ora di sonno mi sono fatta portare nuovamente in quel piccolo borgo medievale perché nel duomo si celebrava una messa in memoria di Chiara.

Non mi piacciono le messe, figuriamoci partecipare ad un’eucarestia così intima. Mi chiedevo cosa c’entrassi io che non avevo mai conosciuto Chiara . La risposta era l’amicizia.

L’amicizia che lega Chiara a Thomas, e l’amicizia che lega lui a me. Un anno fa quando io e lui ci eravamo incontrati prima del funerale di Chiara gli avevo detto che poteva contare su di me. E dopo un anno volevo dimostrarglielo. Dal suo sorriso ho capito di esserci riuscita. Dopo la messa c’è stato un piccolo aperitivo e ho avuto l’occasione di parlare con la famiglia di Chiara, dai genitori alla sorella. E parlando con loro ho capito quanto è fortunata questa ragazza ad avere intorno a sè persone così dolci capaci di farmi sentire parte di quel gruppo di ragazzi che non conoscevo. Se non avessi avuto il problema di dover fare una risonanza magnetica il giorno dopo sarei rimasta a dare una mano per l’ultima serata dell’evento. Invece dopo aver salutato tutti quanti, ho pranzato con Thomas e poi sono partita per Milano con un sacco di pensieri.. primo fra tutti il pensiero che è proprio vero che sono le persone più speciali ad andarsene prima del tempo. E il tempo sembra così difficile da riempire senza perderlo facendo cose inutili.
Ciò che ha salvato la famiglia di Chiara e gli amici è stato proprio quel tempo che sono stati in grado di riempire facendo qualcosa di eccezionale, creando l’associazione Tutti per Chiara”.
Alla fine dell’evento la somma raccolta è arrivata intorno ai €20.000. Questo è solo l’inizio di una grande avventura che questi splendidi amici hanno deciso di affrontare per continuare a far vivere il ricordo di Chiara, Una figlia, sorella e amica che sicuramente è grata di tutto quello che continua ad accadere in suo nome .

Priscilla Chaileader

Veri Influencer

Facebook. Pagina del Veneto Imbruttito. Andreas Ronca pubblica un video in cui passa una giornata con Mattia Cattapan, un ragazzo di 26 anni che quando ne aveva 22 fece un incidente durante una gara in moto e rimase paralizzato, costretto a vivere sulla sedia a rotelle.

Mattia è un amico che considero mio fratello maggiore. Lo conobbi nel 2013 durante il mio primo ricovero nell’unità spinale di Niguarda. Ero a pranzo con altri ragazzi e vidi venire verso di noi un orso in carrozzina pieno di contrazioni alle gambe e dopo essersi presentato una ragazza disse che trovava insopportabile la cadenza dialettale di Mattia. Io invece ero contenta che un “boaro” si aggiungesse a quella strana compagnia creata da noi pazienti. Mi faceva sentire a casa avendo molti amici veneti.

Quell’anno fece impazzire infermieri e medici del reparto. Ma ha portato molti sorrisi a chi come me era ancora molto spaventato dal cambiamento dovuto all’incidente.

Il giovedì mattina usciva dall’ospedale e andava al mercato del quartiere per comprare formaggi e salumi per tutti, mentre al secondo piano il suo vassoio con la dieta alimentare lo aspettava. La domenica rientrava dal week-end passato a casa con borsoni pieni di verdura dell’orto di mamma Rosanna. A Ferragosto, invece, si fece mettere su una carrozzina elettronica per aiutare i fisioterapisti apreparare i tavoli della grigliata. Non riusciva a stare fermo un secondo.

L’unico ragazzo Veneto che non bestemmiava e con la Madonna tatuata sul braccio non era deluso da quella sua passione, la moto, che gli aveva cambiato la vita. Anzi, continuava a parlare del suo KTM e dei Quad che voleva comprare, ma oltre ad essere un ragazzo iperattivo ha  un cuore grande quanto la sua carrozzina. Infatti i discorsi più importanti e riflessivi li ho fatti con lui, che mi ha aiutato moltissimo e sostenuto in ogni momento. Insieme a Carletto, il suo compagno di stanza diventato mio fratello minore. E ancora oggi nei “periodi no”, so che se dovessi chiamarlo avrebbe molte perle di saggezza ,(ovviamente tutte in dialetto veneto), da dirmi.

 Basta guardare il video pubblicato sulla pagina del Veneto Imbruttito per capire qual’è l’anima di Mattia. Quella di un animale che chiede al gruppo punk dei Rumatera di potersi lanciare dal palco sul pubblico durante un loro concerto. Se mai il gruppo musicale dovesse accettare spero di poter essere presente alla scena perché sono queste le cose interessanti da vedere.

Nel frattempo  sui social e in TV si parla dei cosiddetti Influencer, personaggi inventati che diventano personaggi pubblici grazie a brand che regalano loro dei prodotti per avere pubblicità, poiché gli Influencer  postano foto sui social o sui loro blog mentre utilizzano i prodotti e e in questo modo “influenzerebbero ” la massa. Sicuramente non c’è nulla di male. Ma non riesco a capire se è veramente di questo che ha bisogno la società  e soprattutto i giovani. 

Per quanto mi riguarda sono contenta di avere come Influencer un Handicappato che al mattino mi chiama dicendomi “oggi vado a provare frontflip“. Il free-Style in cui si eseguono dei salti fatti in carrozzina dopo aver preso la rincorsa, che dovrebbero finire con una capriola prima dell’atterraggio e niente di rotto. Dovrebbero, perché qualche ora più tardi trovo su Facebook le foto di Mattia con il labbro rotto e la bocca piena di sangue. Mi sono fatta una risata.

Dovrebbero essere queste le cose che influenzano i ragazzi. Vedere un coetaneo  in carrozzina che fa una vita normale ma per chi non conosce questo “mondo” sembrano tutte cose non fattibili. E questo potrebbe spronarli nel vivere davvero.

Al posto di vedere foto o video di persone che passano le giornate ad eventi o in ristoranti lussuosi, la gente dovrebbe sapere che c’è un ragazzo in carrozzina che passa una giornata al lavoro nell’azienda familiare per poi decidere di prendere la macchina e andare a Mugello a vedere una gara di Moto GP, oppure di andare con la fidanzata in Puglia o a Caorle a pescare.

Si dovrebbe sapere che questo ragazzo ha molti progetti e tutti realizzabili grazie alla sua forza di volontà ; giusto per far capire a quei ragazzi pigri che osservano le vite degli Influencer che prima vanno vissute le piccole cose, e poi farsi dare la paghetta per poter comprare i prodotti che i nuovi Vip ricevono gratuitamente. 

L’ultimo progetto al quale sta puntando Mattia è quello di diventare un pilota di autocross dove si fanno gare in circuiti sterrati molto simile al rally. Così  si sta impegnando per cercare sponsor in modo da poter avere tutte le attrezzature per poter gareggiare in sicurezza. Sta sudando e non vuole perdere tempo. Non conosco alcuna persona normodotata con tutta questa energia.

Per quanto mi riguarda, durante il mio ultimo ricovero, ispirandomi a lui, andavo a vedere tutti i pazienti mentre lavoravano e cercavo di spronarli a continuare, perché sapevo che si poteva solo migliorare. ne ero sicura perché c’ero passata anche io 4 anni prima. Con ogni paziente si è creato un rapporto speciale e in poco tempo ho visto in loro uno sguardo di ammirazione, specialmente quando raccontavo delle mie avventure; dal rugby al paracadutismo, dallo sci all’università. Si è formato così un piccolo Priscilla FunClub, e ogni volta in cui davo notizia dell’arrivo della mia dimissione erano tutti veramente dispiaciuti. Questo mi faceva stare bene. Sapere di essere stimata da persone che conosco appena ma con cui condivido la stessa sfortuna. 

È vero, ci sono persone che avendo un’elevata percentuale di disabiltà non possono permettersi di fare ciò che fa Mattia, e io sono la prima. Ci sono anche persone che non possono fare quelle poche attività che faccio io. Ma proprio per questo sento che sono le persone senza alcun handicap a dover imparare qualcosa da noi.

Forse, primi tra tutti, gli Influencer…

Priscilla_ Chairleader 

La Ragazza della meningite 

Meningite. Quanta paura ha creato questa parola nei mesi scorsi. Ogni giorno i media davano notizie di nuove persone infette dai diversi ceppi di questa malattia  che può diventare fatale. Si è addirittura giunti a parlare di una grave epidemia. La realtà è un’altra. I dati scientifici  ci rassicurano, infatti la diffusione di questa malattia invasiva è sovrapponibile a quella dell’anno precedente (http://www.epicentro.iss.it/problemi/meningiti/EpidItalia.asp). Ho iniziato ad informarmi di questa malattia nel periodo di natale, dopo esser sopravvisuta ad una meningite batterica da pneumococco.

Di non essere una ragazza molto fortunata L’ho sempre saputo ma dopo esser finita sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale ero convinta che il mio corpo non avrebbe più subito disavventure. Invece, Mai dire Mai.

Così, il 25 novembre 2016 dopo molti giorni di spossatezza e dolore alla testa mi svegliai con il collo completamente bloccato. Non ero in grado di voltare lo sguardo a destra o sinistra e sentivo il cranio sempre più compresso. Mia madre dovette chiedere a mio fratello di aiutarla a vestirmi perchè io ero completamente bloccata e non riuscivo a sollevare le braccia per mettere la maglietta. Andammo in pronto soccorso all’ospedale di Niguarda. Spiegai quali fossero i miei sintomi, ma mi segnalarono come codice verde, dunque avrei dovuto aspettare molte ore prima di esser visitata. Per fortuna mentre prendevano i miei dati iniziai a vomitare, così mi fecero entrare immediatamente. Non riuscivo a sdraiarmi nel letto nemmeno con lo schienale alzato. Arrivò il momento della tac cervicale e all’encefalo ma non riuscii  a sdraiarmi e dovettero farmi 2 punture di morfina per farmi rilassare e potermi rendere meno rigida. 

Da quel momento non ricordo più nulla. Tutto ciò che so me lo raccontò mia madre una volta terminati i giorni di terrore. 

La tac risultò negativa ma gli esami del sangue evidenziaronouna presenza di globuli bianchi altissima rispetto alla media e gli esami delle urine terribili. Diagnosticarono un’infezione alle vie urinarie e mi spostarono nel reparto  di Medicina d’Urgenza per poter iniziare un’antibiotico per via endovenosa che sarebbe dovuto durare per due giorni.

Sarebbe, perché quella stessa sera dopo che diedero il permesso a mia madre di andare a casa e di tornare la mattina seguente la richiamarono dopo una quarantina di minuti dicendole che il mio assopimento non poteva esser correlato alla morfina e avevo bisogno di una rachicentesi poiché sospettavano un’infezione cerebrale. Quando mia madre tornò non la riconobbi. Iniziò per lei una notte terribile. Non tanto per me perché non ricordo nulla. Iniziai ad avere forti convulsioni, sbattevo le braccia a destra e sinistra, facevo scattare velocemente la testa da una parte e dall’altra, facendo versi strani con la bocca. Non rispondevo più a nessuna domanda.e alle 2 del mattino la febbre aumentò fino a 41º. Arrivò il referto della rachicentesi che confermò la meningite.  il mattino arrivò e la mia saturazione scese al 74%, così mi inserirono le sondine per l’ossigeno.

Più passavano le ore e più la mia situazione peggiorava fino a constatare una polmonite. Mi riempii di catarro e nel pomeriggio decisero di intubarmi e di trasferirmi alla Multimedica di sesto San Giovanni poiché la rianimazione di Niguarda non aveva posti liberi. Mentre mi spostarono per l’intubazione il medico disse a mia madre ciò che un genitore non vorrebbe mai sentirsi dire: “Signora potrebbero rimanere solo due ore a sua figlia. In quelle due ore mi trasferirono in Multimedica e una volta arrivata andai in coma. Sembrava che non ci fosse nulla da fare e il coma durò 10 giorni. Mi svegliai il 7 dicembre ma dovetti comunque rimanere sedata e contemporaneamente continuare gli antibiotici per eliminare del tutto l’infezione cerebrale. Quando mi svegliai il medico mi fece delle semplici domande. Se avevo dolore, se sentivo le gambe,poi mi chiese se la lettera C fosse la prima, la seconda o la terza dell’alfabeto. Risposi: “Cos’è l’alfabeto?”.

I rischi dovuti ad una meningite sono molti, tra cui sordità e perdita di memoria. Ciò di cui era più preoccupato il medico era che potessi non ricordare di essere in carrozzina a causa di un incidente. Per questa situazione non servirono domande perché fui io un giorno a chiedere di poter esser messa in carrozzina per poter “andare in sala a guardare XFactor”, d’altronde ero talmente sedata che non riuscivo a capire nè di essere in ospedale nè di essere intubata. ma adesso non è il caso di raccontare tutto ciò che  ricordo di poco sensato del coma e di quando mi svegliai. Preferisco raccontare il periodo di recupero.

Il  medico in Multimedica vedendo la mia fatica nel respirare autonomamente era in dubbio se procedere con una tracheotomia o meno. Sapeva che a Niguarda avrei avuto più possibilità di evitarla.

Così il 13 dicembre mi spostarono nuovamente a Niguarda nel reparto di Neurorianimazione. Mi estubarono, feci due sacchi di trasfusione e saltai il rischio della seconda tracheotomia in 4 anni. Due giorni dopo tornai nel reparto di Unità spinale dopo 3 anni dalla mia dimissione.

Potevo stare tranquilla, ero nella mia seconda casa. Conoscevo tutti e potevo fidarmi di ogni figura che lavorava all’interno del reparto. Iniziai ad essere più cosciente e mia madre mi raccontò tutto ciò che era successo nelle settimane precedenti. Ero tranquilla ma mi misi a piangere, Non potevo credere di aver rischiato così tanto un’altra volta. Quando entrai in coma mia madre era convinta che non mi avrebbe più riportato a casa. Novembre era il periodo in cui la radio trasmetteva continuamente la canzone “Assenzio” di J-Ax e Fedez che ad un certo punto dice:

 “E allora ho chiesto scusa al cielo per la mia vita intera Mentre l’infermiera le infilava i tubi nelle braccia. Ho pregato Dio: Prenditi i soldi, la mia moto e la carriera Ma non portarti via la mia ragazza.

Ero riuscita in un attimo a spaventarla come non mai, mi sono ripresa e grazie allo stordimento dovuto ai forti farmaci sono tornata a farla ridere come non fosse successo nulla.

Prima di Natale mi fecero scendere dal letto ma non mi misero sulla mia carrozzina, bensì su una bascula. Una carrozzina con uno schienale più inclinato. avendo passato quasi un mese a letto dovetti riabituarmi a tutto. Mi accorsi di essere debolissima:avevo perso  quel poco di muscolatura che mi ero creata con tanto impegno e fatica negli ultimi 3 anni, le braccia erano tornate esili e ricominciai la mobilizzazione a letto durante il mattino. Ciò che mi preoccupò di più fu che non controllavo correttamente la mano sinistra. Non riuscivo nè ad utilizzare il telefono nè a tenere la forchetta per poter mangiare e queste furono le prime cose che imparai a fare dopo l’incidente.

  Così mi ritrovai nel passato ma con esperienze difficili già vissute.

 E incontrando persone che stavano vivendo per la prima volta tutto questo ho capito che non potevo lasciarmi abbattere, nonostante avessi tutte  le ragioni per essere incazzata con il mondo, poiché sapevo che potevo star meglio e tornare ad una vita quasi perfetta, come quella di tutti, perché nessuno, pur essendo in salute, vede la sua vita perfetta.

Natale e Capodanno li passai lì, nel resort di Niguarda, con i parenti e gli amici di sempre. I medici pensavano di dimettermi il 9 gennaio ma si accorsero che era ancora troppo presto. Dovevo recuperare la forza e fare molti esami per essere certi che non ci fossero altri focolai dovuti alla meningite (https://www.pazienti.it/malattie/gliosi).

Durante due di questi esami (una tac e un elelettroencefalogramma) entrambe le figure lavorative dopo aver letto il mio nome sulla cartella mi dissero: “ah tu sei la Ragazza della meningite?!” Una era la Neurologa che decise di fare la rachicentesi, l’altro signore era uno degli infermieri che mi fece la prima tac dopo aver raggiunto il pronto soccorso. Trovai la situazione abbastanza buffa! C’è la ragazza con l’orecchino di perla, la ragazza di fuoco, e poi la Ragazza della meningite. Purtroppo ci sono state altre “ragazze della meningite” che non ce l’hanno fatta. Così io mi trovo a riflettere e a cercare di capire se sono una ragazza sfigata come penso, o se in realtà sono fortunata perchè mi sono ripresa anche questa volta.

La Ragazza della meningite durante il ricovero ha scoperto di aver avuto anche un cedimento di alcune vertebre cervicali che le causano un dolore molto forte e le è stato così vietato di continuare con lo sport di cui si era innamorata, rugby in carrozzina. Inoltre ha dovuto saltare la sessione invernale degli esami invernali. Ammette di essersi un po’ scoraggiata perché prima della meningite era in forma e con molte attività da seguire. Dopo un ricovero inaspettato durato 4 mesi si sente sicuramente più debole e chiusa in una campana di vetro non potendo fare ciò che prima impegnava le sue giornate.

Adesso la Ragazza della meningite è tornata a casa ma promette che cercherà nuove emozioni per tornare alla sua vita quasi perfetta che nonostante tutto era perfetta così.
Priscilla_Chairleader